Culture

Quando i musei vengono creati per gli instagrammers

Un tuffo nella piscina di palline, una visita alla stanza degli specchi, un salto sui gonfiabili giganti; il telefono pronto a immortalare lo scatto perfetto. Ecco come sempre più mostre puntano sul social appeal delle proprie installazioni
Credit: ANSA-DPA
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
18 gennaio 2024 Aggiornato alle 17:00

“Mentre la testa di mia figlia, alta 1 metro, scompariva sotto la superficie di una piscina piena di palline gialle, mi sono resa conto che i bambini di 4 anni potrebbero non essere il target di riferimento dell’ultima mostra d’arte interattiva di Londra”.

Così la giornalista del Guardian Emily Dugan inizia il suo articolo - recensione di EmotionAir, la mostra che “esplora la profonda relazione tra emozioni e arte”, in un percorso espositivo multisensoriale che bilancia “la leggerezza delle opere gonfiabili con la complessità delle emozioni umane” si legge sul sito.

Le installazioni tipiche delle mostre di inflatable art sono proprio opere gonfiabili, ideate “per stimolare un dialogo con i propri sentimenti” spiega Balloon Museum, il progetto che ha dato il via a questo tipo di esibizioni. Non importa se sono tanti, pochi, piccoli, grandi, tutti colorati o monocromatici: conta solo che ci sia una vera e propria marea di palloni gonfiabili.

Sembrano quindi esserci tutti gli ingredienti per un’esperienza multisensoriale per grandi, piccini e famiglie. Tuttavia, al contrario di quanto si era immaginata la curatrice di Balloon Museum World, Antonella Di Lullo (che aveva spiegato come l’idea principale del progetto fosse che il pallone riportasse «tutti all’età dell’infanzia»), non sempre i bambini si sentono a proprio agio tra le enormi installazioni gonfiabili, soprattutto i più piccoli. “Aiuto” aveva gridato la figlia di Dugan, mentre veniva sommersa dalle palline colorate del Balloon Museum di Londra (visitabile fino al 18 febbraio).

Il target perfetto di queste mostre sembrerebbe essere l’utente di Instagram, tanto che i cartelli dell’esibizione londinese recitano: “Taggaci. la tua esperienza è importante per noi, condividila”. Il social appeal delle mostre di inflatable art è innegabile: una visitatrice ha detto a Dugan che la vasca delle palline (proprio quella dove sua figlia stava per “annegare”) «è molto instagrammabile».

In ogni angolo del museo, tra piscine di palline, conigli gonfiabili giganti, ma anche stanze con luci abbaglianti stroboscopiche, le occasioni per fermarsi, scattarsi un selfie e postarlo sui social non mancano; nell’ultima stanza, Balloon Street, ci sono addirittura alcune cabine fotografiche dove posare per qualche scatto: “è tempo che tu esprima te stesso - si legge su un cartello - entra nel nostro mondo di arte gonfiabile e sii l’artista della tua esperienza”.

Ma l’esperimento lanciato dal Balloon Museum non è (e, sicuramente, non sarà) l’unica mostra per giovani visitatori social alla ricerca di esperienze artistiche interattive ma, ancor di più, instagrammabili.

Se l’arte gonfiabile dopo un po’ ti annoia, perché non intraprendere un viaggio nel mondo delle illusioni, tra stanze degli specchi, tunnel spaziali, effetti ottici ingannevoli e luci coloratissime, dove ciò che è piccolo diventa grande e il grande piccino? Oggi i Musei delle illusioni sono ormai diffusissimi, in più di 25 Paesi del mondo, tra cui l’Italia. E qui, avere lo smartphone carico per catturare l’inganno perfetto è un must (sono addirittura segnalati sul pavimento i punti dove poter scattare la foto).

Per chi preferisce, invece, sognare, fino al 28 gennaio la Capitale ospita Museum of dreamers, la mostra dedicata ai sognatori, con 21 installazioni per perdersi in un mondo da favola (e molto rosa); dove poter esprimere i desideri e, forse, trovare il coraggio di realizzare i propri sogni.

Infine, per i più golosi, tra New York, Chicago, Austin, Singapore (e presto Miami e Boston), un’intera esposizione dedicata al gelato: per rivivere la dolcezza di tornare bambini… tra una foto e un’altra.

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