Diritti

Iran: giustiziata Samira Sabzian, la sposa bambina che uccise il marito per liberarsi

Costretta al matrimonio quando era una 15enne, ha subito violenza per anni fino a quando non ce l’ha più fatta. Un gesto imperdonabile per la legge islamica
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
20 dicembre 2023 Aggiornato alle 16:00

La notizia è arrivata tramite X e a lanciarla è stata la Ong Iran Human Rights: Samira Sabzian, ex sposa bambina che nel 2013 aveva ucciso il marito abusante, è stata giustiziata questa mattina all’alba. In carcere da 10 anni, a 15 era stata obbligata a sposare a un uomo molto più grande di lei e violento fin dal primo giorno. Un uomo al quale dopo 4 anni aveva detto basta.

L’esecuzione è avvenuta nel carcere di Qeezel Hesar, nella città di Karaj. Originariamente era prevista per il 13 dicembre ma un’ondata di proteste in molte città dell’Iran aveva indotto le autorità a rimandare il momento, che però alla fine è arrivato.

“Vittima per anni dell’apartheid di genere, dei matrimoni precoci e della violenza domestica, Samira oggi è stata uccisa della macchina omicida di un regime incompetente e corrotto, un regime che si è sostenuto esclusivamente uccidendo e instillando paura”, ha scritto su X il direttore dell’Ong, Mahmood Amiry.

L’Iran è lo Stato che giustizia più donne al mondo. Come denunciato da Amnesty International, Samira è la 18° quest’anno ma di nessuna esecuzione femminile vi è traccia nelle fonti ufficiali perché secondo la legge islamica le donne sono disuguali davanti alla legge.

In un Paese dove, dopo la morte di Mahsa Amini e più recentemente di Armita Garavand, le proteste delle donne, che ogni giorno vedono la loro libertà sempre più violata, non si sono mai placate, quest’ennesima uccisione non potrà che inasprire lo scontro.

«Le leggi iraniane consentono matrimoni forzati e precoci, non proteggono le donne dalla violenza domestica e poi le ammazzano quando cercano di ribellarsi. Samira Sabzian è la tragica testimonianza di un sistema imperniato sull’oppressione delle donne, sin dalla loro infanzia», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

Nello Stato islamico, infatti, le ragazze possono sposarsi a partire dai 13 anni, ma se il padre o il nonno paterno danno il proprio consenso il matrimonio può avvenire anche prima, a 9 o 10 anni, come non di rado accade. Inoltre, la legge islamica non consente di divorziare.

La storia di Samira purtroppo non è isolata e fa riemergere un fenomeno, quello delle spose bambine, in parte sommerso ma che coinvolge ogni anno un numero impressionante di minori, come ribadito dall’ultimo rapporto Unicef, che stima siano 640 milioni le ragazze e donne in vita date in moglie durante l’infanzia. 12 milioni l’anno.

Nonostante la percentuale di giovani sposate durante l’infanzia sia diminuita dal 21% al 19% rispetto alle ultime stime pubblicate 6 anni fa, l’emergenza è ancora altissima, anche perché chi si ribella paga con la violenza o, come nel caso di Samira Sabzian, con la vita.

Quasi la metà delle spose bambine nel mondo vive nell’Asia meridionale (45%), seguita dall’Africa sub-sahariana (20%), dall’Asia orientale e dal Pacifico (15%) e dall’America Latina e dai Caraibi (9%). In Iran 9,96 milioni di ragazze si sono sposate o hanno avuto un’unione prima dei 18 anni. Tante, troppe, con conseguenze irreparabili visto che, come si apprende sempre dal rapporto Unicef, “le bambine che si sposano durante l’infanzia subiscono conseguenze immediate e per tutta la vita. Hanno meno probabilità di rimanere a scuola e corrono un rischio maggiore di gravidanze precoci, aumentando a loro volta il rischio di complicazioni per la salute infantile e materna e di mortalità. Questa pratica può anche isolare le ragazze dalla famiglia e dagli amici ed escluderle dalla partecipazione alle loro comunità, con un pesante impatto sulla loro salute mentale e al loro benessere”.

Dal matrimonio precoce e costretto di Samira Sabzian sono nati 2 figli, che in tutti questi anni la donna ha rinunciato a vedere sperando di ottenere clemenza da parte dei genitori del marito. La legge iraniana in questi casi prevede infatti che la famiglia della vittima possa chiedere una compensazione finanziaria in alternativa alla pena capitale. La grazia però non è mai arrivata e alla fine, pochi minuti prima di morire ha potuto riabbracciare i figli. Un atto camuffato da clemenza che clemenza non è ma ennesima violenza.

Leggi anche
Kiana Rahmani, figlia di Narges Mohammadi, parla durante l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2023 a Oslo, Norvegia, 10 dicembre 2023. 
Attivismo
di Chiara Manetti 4 min lettura
Diritti umani
di Chiara Manetti 4 min lettura