Diritti

Sei mesi fa il naufragio di Pylos: Amnesty e HRW chiedono giustizia

In un rapporto congiunto le due Ong accusano le autorità greche di non aver indagato adeguatamente sulle circostanze che hanno portato alla morte di almeno 500 persone. Per la Grecia i migranti hanno rifiutato le offerte di aiuto
Dei manifestanti ad Atene protestano contro la morte di centinaia di persone migranti che si trovavano a bordo di un'imbarcazione che si è rovesciata al largo delle coste del Peloponneso, 15 giugno 2023. Il numero dei dispersi rimane sconosciuto.
Dei manifestanti ad Atene protestano contro la morte di centinaia di persone migranti che si trovavano a bordo di un'imbarcazione che si è rovesciata al largo delle coste del Peloponneso, 15 giugno 2023. Il numero dei dispersi rimane sconosciuto. Credit: EPA/GEORGE VITSARAS
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
15 dicembre 2023 Aggiornato alle 10:00

Sono passati sei mesi dal naufragio avvenuto il 14 giugno 2023 al largo del Peloponneso, quando una nave si capovolse provocando la morte di almeno 500 persone migranti che stavano tentando di raggiungere le coste dell’Italia.

In questa tragica ricorrenza i gruppi per i diritti umani Human Rights Watch e Amnesty International hanno pubblicato un report in cui condannano la mancanza di giustizia per le vittime e per i sopravvissuti di uno dei peggiori disastri navali del Mediterraneo.

Secondo le due Ong “le indagini ufficiali sulle accuse credibili secondo cui le azioni e le omissioni della Guardia costiera ellenica avrebbero contribuito al naufragio e alla perdita di vite umane […] hanno fatto pochi progressi significativi”.

Il peschereccio Adriana, salpato dalla Libia cinque giorni prima del naufragio, è affondato a circa 80 km al largo della città greca meridionale di Pylos, nelle prime ore del 14 giugno 2023. Secondo le inchieste indipendenti e le testimonianze dei 104 sopravvissuti, c’erano almeno 700 persone stipate nell’imbarcazione.

Il suo capovolgimento è avvenuto 15 ore dopo che le autorità greche erano state allertate del fatto che l’imbarcazione fosse nella loro zona di ricerca e salvataggio. Nell’operazione di salvataggio i sopravvissuti, uomini provenienti da Siria, Egitto e Pakistan, sono stati portati a riva e il peschereccio, che non è ancora stato trovato, ha restituito 82 corpi.

Le indagini sono tutt’altro che concluse e gli attivisti, a causa del modo in cui è stata condotta l’inchiesta, sono preoccupati “per le prospettive di responsabilità”: la Grecia continua a sostenere che l’equipaggio della nave abbia rifiutato l’assistenza. Le autorità, sostengono gli attivisti, “dovrebbero garantire che le accuse contro gli ufficiali della Guardia costiera ellenica e altri funzionari greci siano oggetto di indagini approfondite e perseguire penalmente tutti i funzionari per i quali esistono prove sufficienti di illeciti”.

«Un resoconto completo di ciò che è accaduto è fondamentale per assicurare verità e giustizia ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime e per contribuire a evitare future morti», ha dichiarato Judith Sunderland, direttrice associata per l’Europa e l’Asia centrale di Hrw. «Il naufragio di Pylos sembra essere un altro tragico esempio di abdicazione delle autorità greche alla responsabilità di salvare vite in mare». In questi mesi i gruppi per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per i racconti contrastanti di ciò che è accaduto quella notte, dei tempi e del modo in cui sono avvenute le operazioni di salvataggio da parte delle autorità greche.

Grazie alle testimonianze dei sopravvissuti raccolte da Human Rights Watch, ai racconti di 5 parenti di persone ancora disperse, dei rappresentanti della Guardia costiera e della polizia greca, e alle interviste a Ong e Nazioni Unite, Hrw e Amnesty sostengono che le autorità non solo non abbiano mobilitato i soccorsi adeguati, ma abbiano “ignorato e reindirizzato” le offerte di assistenza all’agenzia di frontiera dell’Ue Frontex.

Due sopravvissuti hanno raccontato che, durante la traversata, le persone migranti a bordo della nave avrebbero implorato i soccorsi di intervenire e una motovedetta della Guardia Costiera greca avrebbe attaccato una corda al peschereccio e poi l’avrebbe tirato per rimorchiarlo fuori dalle acque elleniche, provocandone il capovolgimento. Dopo che la barca si è rovesciata, i testimoni sostengono che l’intervento della Guardia Costiera sia stato lento.

Queste testimonianze sono in linea con le numerose inchieste mediatiche sul naufragio, come quella realizzata dal gruppo indipendente Solomon, dalla piattaforma investigativa interdisciplinare Forensis, dal New York Times, da Lighthouse Reports. Eppure, da sei mesi i funzionari greci sostengono che l’imbarcazione sia affondata in acque internazionali quando la Guardia Costiera si trovava a circa 70 metri di distanza.

Il mese scorso, in un’intervista alla Bbc, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha ribadito che le persone a bordo della nave «hanno rifiutato qualsiasi assistenza. Volevano arrivare in Italia. E alla fine della giornata dovremmo ritenere responsabili gli scafisti, non la Guardia Costiera che sta cercando di fare il suo lavoro».

Tra i sopravvissuti, in 40 hanno intrapreso un’azione legale contro lo Stato greco accusando il governo di centro-destra di perseguire una politica di deterrenza basata sulla criminalizzazione dei migranti. I 9 uomini egiziani detenuti e accusati di aver supervisionato l’operazione di contrabbando non sono ancora stati processati.

A novembre il difensore civico della Grecia (Ombudsman) ha annunciato un’indagine indipendente sull’operato della Guardia Costiera ellenica nel naufragio di Pylos, dopo che questa si è rifiutata di avviare un’indagine disciplinare interna.

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