Diritti

Caso Regeni: rinviati a giudizio gli 007 egiziani

A quasi 8 anni dall’omicidio del ricercatore italiano, si sblocca lo stallo procedurale. Gli imputati sono sempre gli stessi: Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif
Una manifestazione a sostegno di Giulio Regeni. Dal 2016 Amnesty Italia chiede "Verità per Giulio Regeni” attraverso una campagna nero su giallo.
Una manifestazione a sostegno di Giulio Regeni. Dal 2016 Amnesty Italia chiede "Verità per Giulio Regeni” attraverso una campagna nero su giallo. Credit: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
4 dicembre 2023 Aggiornato alle 17:00

Il 3 dicembre sono scattati 94 mesi dal ritrovamento di Giulio Regeni in Egitto. Sono passati quasi 8 anni da quando, il 3 febbraio 2016, il corpo senza vita del ricercatore italiano originario di Trieste venne rinvenuto sul ciglio di una strada tra Il Cairo e Alessandria d’Egitto. Per quanto, da allora, migliaia di manifesti e striscioni in tutta Italia chiedano nero su giallo “Verità e Giustizia per Giulio”, nessuna delle due è ancora stata ottenuta. Tuttavia, stamattina qualcosa ha sbloccato lo stallo procedurale del caso Regeni: è ripartita l’udienza preliminare e i quattro presunti responsabili sono stati rinviati a giudizio.

Gli imputati li abbiamo già sentiti nominare: sono il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Uhsam Helmi, e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Il giudice per l’udienza preliminare Roberto Ranazzi ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco al termine dell’udienza preliminare ripresa oggi dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha sbloccato il processo. La prima udienza è stata fissata per il 20 febbraio davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma: i quattro andranno a processo per il reato di sequestro di persona pluriaggravato e, per quanto riguarda Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, anche per concorso in lesioni personali aggravate e concorso in omicidio aggravato. La madre di Giulio Regeni, Paola Deffendi, presente in aula insieme al marito Claudio Regeni e all’avvocata Alessandra Ballerini, ha commentato: «Oggi è una bella giornata».

Inoltre, la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata ammessa come parte civile al processo. L’istanza è stata presentata dall’avvocato dello Stato e accolta dal gup Ranazzi. «Le notizie di oggi sono la conferma della costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, la presa d’atto del giudice delle motivazioni della Consulta e l’ulteriore notorietà anche in Egitto del procedimento a carico dei 4 imputati per il sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni», ha commentato al termine dell’udienza preliminare l’avvocata Ballerini. «Una notorietà legata anche al recente incontro tra il ministro degli Esteri, Antonio Tajani e Al Sisi durante il quale il ministro ha informato il presidente egiziano che si procederà in Italia contro i 4 imputati».

Le tappe del caso Regeni

È il 2018 quando la Procura di Roma iscrive per la prima volta gli agenti della National Security nel registro degli indagati. Nel 2020 chiude l’inchiesta relativa al sequestro, alla tortura e all’omicidio dell’allora 28enne Regeni, che si trovava in Egitto per scrivere una tesi sui sindacati del Cairo, e i pm emettono quattro avvisi di chiusura delle indagini per i già citati agenti dei servizi segreti egiziani. I continui depistaggi e l’assenza di collaborazione da parte dell’Egitto dilatano i tempi: il Paese, governato dal presidente Abdel Fattah al Sisi, non ha mai fornito all’Italia l’indirizzo dei presunti colpevoli, né ha mai cercato di procurarseli.

Il 25 maggio 2021 i quattro vengono rinviati a giudizio, ma risultano irreperibili; a ottobre dello stesso anno, durante la prima udienza, il processo viene sospeso per via dell’assenza degli imputati in aula. Il decreto di rinvio a giudizio viene dichiarato nullo e gli atti tornano al giudice per l’udienza preliminare, che dispone nuove ricerche. Nel 2022 il Gup sospende il processo a carico degli 007 egiziani per l’impossibilità di notificare loro gli atti. La Procura di Roma impugna la decisione davanti alla Cassazione, che a luglio dell’anno scorso dichiara il ricorso inammissibile e conferma lo stop.

Per l’Egitto, intanto, il caso è chiuso: in un documento del ministero della Giustizia italiano depositato ai giudici di Roma si legge che le autorità egiziane hanno “riferito che la Procura generale” del Cairo “ha già svolto indagini nei confronti degli stessi quattro imputati nel procedimento italiano. Indagini conclusesi il 26 dicembre del 2020 con un decreto di archiviazione”. Ma il 27 settembre 2023 la Corte Costituzionale dichiara illegittima l’archiviazione del procedimento nei confronti dei 4 agenti.

Le motivazioni vengono depositate un mese dopo: la paralisi del processo che “deriverebbe dall’impossibilità di notificare personalmente all’imputato gli atti di avvio del processo medesimo a causa della mancata cooperazione dello Stato di appartenenza, non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale”. La Corte ha dichiarato illegittimo l’articolo 420-bis, comma 3, del Codice di Procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice possa procedere in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura. Grazie allo sblocco della Consulta, dunque, il processo è finalmente ripreso.

Il sit-in prima dell’udienza

Stamattina, in vista della ripresa del processo, di fronte alla sede del Tribunale di Roma a Piazzale Clodio, si è svolto un sit-in in cui sono state distribuite delle rose gialle. Tra i partecipanti, oltre ai genitori di Regeni e a varie associazioni come l’Fnsi e il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, anche la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che ha dichiarato: «Siamo qui per confermare la piena vicinanza alla famiglia di Giulio e non solo alla scorta mediatica che questa mattina è qui per seguire quello che speriamo essere finalmente la partenza di un processo che è stato molto atteso e a lungo ostacolato ma anche a quel popolo giallo che ha tenuto accesa l’attenzione in questi anni di mobilitazione fin dal febbraio del 2016».

La ripresa del processo, tuttavia, è stata criticata dalla Camera penale di Roma, un’associazione che riunisce degli avvocati penalisti della capitale. Come riporta il Fatto Quotidiano, in una nota che verrà diffusa oggi l’organismo ha parlato di “evento simbolico” di “natura eccezionale”. I legali si schierano contro la decisione della Corte Costituzionale per cui uno Stato estero non può impedire che l’Italia giudichi dei cittadini stranieri accusati di “delitti commessi mediante atti di tortura”.

“Senza contraddittorio - scrivono gli avvocati - non ci potrà essere alcun credibile accertamento dei fatti, ma solo un evento simbolico di natura ‘eccezionale’ che rischia di intaccare in radice la fondamentale funzione del processo e delle relative garanzie”. Per questo esprimono “vicinanza e sostegno ai difensori d’ufficio”.

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