Diritti

Femminicidi Israele, Eugenia Roccella: “per andare avanti c’è bisogno di una volontà comune”

In una lettera al Corriere della Sera, la Ministra per le Pari opportunità ha parlato delle divisioni ideologiche interne al mondo femminista che, a causa dell’appoggio di Non una di meno alla Palestina, avrebbero reso le piazze del 25 novembre non del tutto inclusive
Eugenia Maria Roccella, ministra per le Pari opportunità e la Famiglia
Eugenia Maria Roccella, ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Credit: ANSA/FABIO FRUSTACI 
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
30 novembre 2023 Aggiornato alle 19:00

Questa mattina la ministra per la famiglia Eugenia Roccella ha inviato una lettera aperta al Corriere della sera, per tornare sulle piazze del 25 novembre, e in particolare sulla presa di posizione dell’associazione Non una di meno, organizzatrice dei cortei nazionali contro la violenza sulle donne, che appoggiando apertamente la causa palestinese avrebbe, secondo alcuni, escluso a priori le donne di religione ebraica.

La Ministra cita per prima cosa il movimento femminista francese Paroles de femmes, che nelle scorse settimane ha lanciato una petizione per riconoscere come femminicidi di massa l’uccisione di centinaia di donne israeliane durante gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, sia alla festa musicale nel deserto sia nei kibbitz. “Molti civili sono morti ma le donne non sono state uccise allo stesso modo degli uomini – si legge nel comunicato dell’associazione - Le donne erano esposte nude, violentate al punto da fratturarsi il bacino, anche i loro cadaveri sono stati violentati e i loro genitali danneggiati. Urinavano sui loro resti. La violenza commessa contro di loro corrisponde in tutto e per tutto al termine femminicidio”.

Parole ferme che Eugenia Roccella ha approvato, collegandole a quanto successo il 25 novembre. «Mi sarebbe piaciuto sentire parole simili anche dalle tante che hanno sfilato sabato scorso a Roma per protestare contro la violenza sulle donne, contro i femminicidi, contro il patriarcato. Nei giorni successivi c’è stato chi ha espresso e motivato il proprio disagio: femministe storiche come la filosofa Adriana Cavarero e Francesca Izzo, ma anche Daniela Hamaui, ebrea e femminista, ha parlato della propria solitudine in quella piazza», sottolinea riferendosi alla presenza di cartelli e slogan pro Palestina.

Una presenza che aveva agitato la viglia del corteo, con molti esponenti politici (primo tra tutti Carlo Calenda ma non solo) sfilatisi proprio a causa di uno schieramento risultato chiaro, e verso il quale Non una di meno non ha mai indietreggiato.

Nemmeno in virtù della lettera aperta inviata loro dalle donne della sezione romana di Hashomer Hatzair, un movimento ebraico giovanile, politico, attivista, socialista, femminista e sionista, nato nel 1913 e presente in Italia da oltre 70 anni. Giovanissime sotto i 18 anni che avevano fatto sapere che non avrebbero aderito alla manifestazione perché “neanche una parola è stata spesa da voi per denunciare il massacro di 1.400 civili israeliani, il rapimento di 240 persone, tra cui molte donne e bambini. Nulla è stato detto per le donne stuprate, torturate, mutilate e uccise da Hamas, come se quelle donne non meritassero la vostra pena, il vostro cordoglio e il vostro dolore”.

Fortemente contrariata dalle posizioni dell’associazione transfemminista anche la giurista di origine ebraica Tamar Pitch, che sempre poche ore prima della partenza del corteo si era detta stanca di fare la femminista buona e di non voler avere più nulla a che fare con una sinistra e questo movimento femminista che decide deliberatamente di ignorare quanto successo il 7 ottobre.

Polemiche della vigilia che non si erano placate nemmeno nel week-end delle manifestazioni, nonostante la precisazione da parte di Non una di meno, arrivata tramite le parole di una portavoce che, pur rivendicando di schierarsi a favore della causa palestinese, ha affermato con forza che «i popoli non sono i Governi e noi esprimiamo solidarietà anche, ovviamente, alle donne israeliane aggredite e stuprate. Perché da femministe sappiamo che la guerra è l’espressione più alta del patriarcato e gli stupri sono sempre stati utilizzati come strumento di controllo del corpo delle donne e dei territori. Certamente lo fa Hamas, ma l’abbiamo fatto anche noi in Somalia».

Adesso, a distanza di quasi una settimana, e con gli echi della polemica che si stanno facendo sempre meno intensi, per mantenere acceso il piano della discussione e fare in modo che dalle piazze nasca un intento costruttivo, è tornata a parlarne Eugenia Roccella, esponente di un Governo spesso accusato di fare poco per le donne ma che, sottolinea nella lettera la Corriere della sera, ha approvato all’unanimità una legge contro la violenza.

“Da questo punto, che davvero può essere di svolta, dovremmo andare avanti, ma per farlo c’è bisogno di una volontà comune. Una unità di intenti che non può essere condizionata dalle divisioni politiche, dalle contrapposizioni ideologiche o dall’avversione per il Governo in carica. Non è necessario neanche avere le stesse opinioni sul patriarcato e sul concetto di libertà: ogni idea, ogni analisi è legittima, ma sui fondamentali bisogna intendersi. Per esempio su quanto avvenuto il 7 ottobre. Servono impegno e lucidità: servono a noi, alle donne israeliane, ma anche alle palestinesi, assoggettate a un sistema ferocemente patriarcale che esercita nei loro confronti un’oppressione assai dura [….] Indipendentemente da come la si pensi sul conflitto in corso, il 7 ottobre si è consumato un femminicidio di massa. Se da donne non riusciamo a guardare cosa accade ad altre donne, a dirlo pubblicamente con forza, a chiedere giustizia, tutte insieme, sarà difficile vincere la nostra battaglia”.

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