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Spagna: chi è Pedro Sánchez, rieletto alla guida del Paese?

Il leader del Partito socialista spagnolo torna a essere, per la terza volta, premier. Su di lui pesa il malcontento per l’amnistia per gli indipendentisti catalani
Credit: EPA/BALLESTEROS / POOL
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22 novembre 2023 Aggiornato alle 18:00

In Spagna l’hanno soprannominata la remontada. Pedro Sánchez è stata rieletto giovedì premier del Paese iberico. Fino a pochi mesi fa la carriera politica del leader del Partito socialista spagnolo (Psoe) sembrava giunta al capolinea: i sondaggi in vista delle elezioni generali di questo luglio davano ormai quasi per scontato l’arrivo al potere delle destre guidate dal Partito popolare di Alberto Núñez Feijóo. E invece, ancora una volta, il politico socialista è tornato in pista. Ma qual è la storia dell’uomo che, non senza polemiche, si appresta a governare per la terza volta consecutiva uno dei più importanti Paesi europei?

Nato nel 1972 in una famiglia benestante (il padre è imprenditore e la madre impiegata statale), Sánchez si laurea in Economia e Commercio presso l’Universidad Complutense de Madrid, per poi ottenere un master in politica economica dell’Ue all’Université libre de Bruxelles e un altro master in leadership della pubblica amministrazione presso la Iese Business School. Tra le sue passioni da giovane, oltre alla politica, c’è anche il basket. «Mi ha insegnato il gioco di squadra», spiegherà in seguito.

Il suo impegno politico inizia già durante gli anni universitari, quando è membro della Gioventù Socialista Spagnola. In seguito intraprende un percorso internazionale: lavora sia al Parlamento europeo che alle Nazioni Unite. 2 esperienze che lo avvantaggeranno molto nella sua carriera politica. Nel frattempo intraprende la carriera accademica come professore di economia. Nel 2004, a 32 anni, arriva la prima esperienza di rilievo: entra a far parte del consiglio comunale di Madrid.

Nel 2008 si candida alle elezioni nazionali, ma non risulta tra gli eletti. Deve così “accontentarsi” di una riconferma nel consiglio comunale di Madrid. Ma l’appuntamento con il parlamento nazionale è solo rimandato: nel 2010, a seguito delle dimissioni del parlamentare Pedro Solbes, fa il suo ingresso nel Congresso dei Deputati. Il suo lavoro viene subito notato dai giornali spagnoli che lo ribattezzano “il deputato prodigio” per la sua attenzione a temi nuovi come quello ambientale.

Da quel momento inizia la sua ascesa che lo porterà a ottenere la guida del Psoe nel 2014. Un ruolo che, tranne una breve parentesi tra il 2016 e il 2017, detiene ininterrottamente da quasi 10 anni. Sánchez arriva a ricoprire la carica di segretario da vero e proprio outsider. Una condizione che in realtà lo aiuta immediatamente a ingraziarsi le simpatie dell’elettorato socialista che non vede l’ora di avere volti nuovi nella leadership. In suo favore giocano poi le capacità di intercettare il consenso pubblico attraverso i social. Sánchez è tra i primi infatti a utilizzare seriamente piattaforme come Twitter.

Nel 2015 affronta le sue prime elezioni da segretario del Psoe. Il suo partito arriva secondo alle spalle dei Popolari, ma non c’è un chiaro vincitore. Tanto che all’inizio del 2016 Sánchez riceve dal re Filippo VI il suo primo incarico a formare un Governo, ma non riesce a ottenere la fiducia dal parlamento. L’instabilità porta in pochi mesi a nuove elezioni che vedono vincitore il Partito polare di Mariano Rajoy che diventa premier.

Sono anni difficili sia a livello economico che da un punto di vista interno, soprattutto a causa delle richieste di indipendenza che arrivano dalla Catalogna. Sánchez è abile a cavalcare il malcontento e a proporsi come figura autorevole. L’assist finale lo fornisce un’inchiesta su presunti fondi neri del Partito popolare, che travolge anche Rajoy. Il leader socialista riesce così a far approvare nel 2018 una mozione di sfiducia nei confronti del premier. È la prima volta nella storia della Spagna post-franchista. Pochi giorni dopo giura per la prima volta da premier. È il primo a farlo senza simboli religiosi.

Si conferma al Governo anche nelle successive elezioni del 2019. Nel corso del suo mandato si attira le simpatie dell’elettorato progressista aumentando il salario minimo e nominando un Governo a maggioranza femminile. Decide anche di accogliere Aquarius, una delle navi di migranti bloccate dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Nell’ottobre del 2019 mantiene anche la promessa di spostare la salma del dittatore Francisco Franco dal suo mausoleo in un luogo meno divisivo.

Con la pandemia è protagonista, insieme all’allora premier Giuseppe Conte, della lotta a livello europeo per far arrivare i fondi ai Paesi più colpiti; ma gli effetti del Covid-19, la guerra in Ucraina e le difficoltà economiche fanno calare il suo consenso e le Regionali del maggio 2023 rappresentano una dura batosta per il Psoe. Il risultato convince Sánchez a rassegnare le dimissioni e andare così a elezioni anticipate che vengono fissate per luglio. Tutti i sondaggi danno inizialmente in vantaggio i popolari di Alberto Núñez Feijóo, ma tra la sorpresa di molti osservatori, le urne rispettano questa previsione solo a metà: il Partito popolare arriva primo, ma il Psoe tiene e nessuno dei due partiti ha una maggioranza per governare da solo.

Dopo un primo tentativo fallito di Feijóo, è il turno di Sánchez che si lancia in un’operazione politica molto controversa: accordarsi con gli autonomisti catalani, concedendo un’amnistia ai separatisti, per ottenere un appoggio al proprio Governo. Il patto regge e il leader socialista diventa per la terza volta premier. Le proteste per l’accordo però sono fortissime, con l’opposizione che accusa Sánchez di voler di fatto spianare la strada alla fine della Spagna unita.

Un inizio in salita per il premier, che però non sembra disposto a fare passi indietro. Ricordando gli insegnamenti del basket ha detto: «Ho imparato a non mollare fino al momento in cui l’arbitro fischia la fine».

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