Diritti

Cina: “basta con la Pink Tax!”

Le femministe cinesi si battono contro il sovrapprezzo dei beni destinati alle donne e chiedono di riconoscere i prodotti mestruali come “essenziali”: oggi l’Iva è pari a quella delle borse firmate
Credit: Karolina Grabowska.
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
23 novembre 2023 Aggiornato alle 08:00

La risposta alla domanda “quanto costa essere una donna?” ha molto spesso una risposta molto precisa in termini economici: è il sovrapprezzo che la maggior parte dei produttori impone ai beni genderizzati (anche quando non ci sarebbe alcuna necessità di farlo!) solo perché destinati a un target femminile. Gli anglosassoni la chiamano “pink tax”: una tassa che non ha niente a che vedere con i costi di produzione, ma tutto, invece, con scelte di marketing, e che riguarda gli oggetti “rosa” (dai prodotti per il corpo fino a jeans, giocattoli e persino caschi da moto) e che ha un valore medio mondiale stimato intorno al 7%.

Ora, a dire basta alla pink tax sono le donne della seconda economia del mondo. Già dal 2020, infatti, le femministe cinesi discutono di potenziali strategie per combattere la tassa in un gruppo chiamato Pink Tax Resisters Alliance su Douban, l’equivalente nazionale di Reddit e IMDb, che conta oltre 30.000 membri. Ma negli ultimi mesi (e soprattutto nelle ultime settimane, in occasione di una delle giornate dedicate allo shopping più importanti in Cina, il Singles Day o Double 11, dell’11 novembre) la questione è tornata di prepotente attualità e l’hashtag #PinkTax ha attirato milioni di visualizzazioni sulle piattaforme social cinesi, dove le donne condividono le loro esperienze di rifiuto dell’aumento dei prezzi legato al genere.

Un tema che è particolarmente critico è quello del costo dei prodotti mestruali: in Cina, l’Iva prevista è del 13%, la più alta possibile per la maggior parte dei beni commerciali, inclusi tabacco, borse firmate e cosmetici. Al contrario, gli articoli ritenuti “necessari” per la vita di tutti i giorni dai legislatori cinesi (come gas, sale e persino riviste) sono soggetti a un’Iva dell’11%.

Per chi ha un budget ristretto è sempre più difficile potersi permettere di acquistarli. Per questo, molte persone non lo fanno, affidandosi a prodotti meno sicuri dal punto di vista della salute o ritrovandosi costrette a ritirarsi dalla vita professionale e sociale durante le mestruazioni, un fenomeno che prende il nome di period poverty e che colpisce le persone che mestruano in tutto il mondo.

Ora, una campagna online chiede ai legislatori di riconoscere come “essenziali” e abolire (o almeno ridurre) la tassa su prodotti legati al ciclo mestruale come tamponi, assorbenti e coppette mestruali, perché necessari per milioni di donne e ragazze con il ciclo in Cina. A stimolare la campagna è stato un post condiviso il 26 settembre dall’account pubblico WeChat di Period Pride (月事骄傲 yuèshì jiāoào), un’organizzazione no-profit con sede nel Sichuan che sostiene un migliore accesso e una maggiore consapevolezza riguardo alle cure mestruali. L’articolo puntava i riflettori sulla proposta di legge cinese sull’Iva, il cui testo completo è stato reso pubblico per sollecitare commenti.

“Se hai prestato attenzione ad argomenti come ‘povertà del ciclo’ e ‘vergogna del ciclo’, o se ti interessa il benessere delle donne, non esitare a esprimere i tuoi pensieri e avanzare i tuoi suggerimenti - ha scritto il gruppo nell’articolo - Non abbiamo il potere di determinare se la politica fiscale cambierà o meno. Ma possiamo esprimere ad alta voce le nostre opinioni e cercare di rompere il diffuso tabù che circonda le mestruazioni, evitando parole come ‘ciclo’ (月经 yuèjīng) e ‘assorbenti’ (卫生巾 wèishēngjīn). Questo è il nostro diritto e questa è la nostra missione”.

Mentre il Governo cinese sta abbracciando una posizione sempre più tradizionale, legata in parte dalle preoccupazioni per il tasso di natalità ai minimi storici del Paese, il movimento femminista cinese sta diventando più forte, non solo da quando si è affermato il movimento #MeToo (noto come #WoYeShi) nel 2018, ma anche man mano che sempre più donne sono entrate nel mondo del lavoro, con una crescita del 40% negli ultimi 10 anni.

Ora, queste donne vogliono far valere la loro voce anche attraverso un consumo responsabile, perché le scelte di acquisto che facciamo ogni giorno sono anche un mezzo per indirizzare le scelte, prima di tutto quelle produttive, verso un approccio più etico e paritario. “Ogni dollaro speso è un voto per il mondo - ha scritto Lanc Lann, una studentessa universitaria di 21 anni - Non contribuirò con un altro centesimo ai marchi che ingannano apertamente le donne o che sono ostili nei loro confronti. Credo che gli sforzi dei gruppi di donne possano portare cambiamenti”.

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