Ambiente

Chi scommette sulla crisi climatica?

Mentre parliamo di mitigare la crisi, i gruppi bancari più grandi del mondo investono trilioni nell’industria estrattiva. Costruendo vere e proprie bombe climatiche a orologeria
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3 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Finalmente fa freddo. Siamo dovuti arrivare a novembre per sentire la pioggia di un settembre e i brividi di un ottobre.

Abbiamo superato Halloween, le polemiche, l’orrore delle caramelle a base di gelatina animale masticate da bambini che forse, sapendolo, ne farebbero anche a meno.

Ci stiamo godendo l’autunno, sapendo che sarà breve, brevissimo, seguito da un inverno veloce, velocissimo, che si scioglierà in un’estate camuffata da primavera.

È la vita ai tempi della crisi climatica, con le stagioni a fare da vestigia di un equilibrio atmosferico che ormai non c’è più. Che da tempo, lungo tempo, si sa essere condannato.

Perciò i governi, le banche, le organizzazioni internazionali, i vertici e le Ong si adoperano con progetti, schizzi e immaginari capaci di mitigare gli effetti che la concentrazione di gas climalteranti sta e continuerà a produrre.

O almeno, così pare. Perché sotto la patina verdina delle riduzioni entro il 2030/2050/data da destinarsi, ci sono accumuli gassoeconomici pronti a esplodere. Bombe, non a caso chiamate Carbon Bombs, pronte a detonare o, peggio, già in corso di detonazione.

Stando ai dati rivelati da The Guardian, raccolti da diverse no-profit come Data for Good ed èclaircies, le Carbon Bombs sono gargantueschi progetti di investimenti nel fossile che, da soli, avranno la capacità di far sforare definitivamente qualsiasi soglia di contenimento delle emissioni. Si parla addirittura di uno sforamento di quattro volte del Carbon budget.

Responsabili di questa bomba a orologeria sono le più grandi banche statunitensi, cinesi ed europee.

In testa, JPMorgan Chase, con un investimento di 141 miliardi di dollari, Citi, con 199 miliardi, Bank of America con 92 miliardi e Wells Fargo con 62 miliardi,

seguite dall’Industrial and Commercial Bank of China con i suoi 92.2 miliardi , dalla Bank of China con 65,7 miliardi e dall’Industrial Bank con 51,5.

Non mancano poi le europeissime Bpn Paribas (71,9), Hsbc (62,1) e Barclays (54.4).

Questi sono solo alcuni dei nomi di chi investe attivamente contro il futuro condiviso dell’umanità.

Infatti, invece che spingere gli investimenti là dove potrebbero stimolare una seria transizione energetica, i maggiori gruppi bancari del mondo stanno scommettendo attivamente sul collasso climatico, ricavando guadagni straordinari.

Per capirci, le azioni combinate dei grandi gruppi finanziari stanno contribuendo all’aumento della temperatura oltre la soglia degli 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali, generando un proporzionale incremento di tutte le criticità derivate dall’instabilità climatica.

Non da ultime le guerre, che, da sole, hanno la capacità di modificare l’andamento dei prezzi del petrolio, facendolo impennare e incrementandone l’uso.

Scommettere su conflitti e clima, purtroppo paga, e anche parecchio.

Excon mobil, Shell, Chevron e Pb hanno realizzato un guadagno pari a 2 trilioni solo negli ultimi tre anni.

Ecco spiegato perché, al momento, le compagnie che hanno generato le Carbon bombs hanno raccolto, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2022, investimenti pari a 1,8 trilioni di dollari.

Si parla di circa 425 progetti estrattivi, ognuno dei quali ha una potenza di immissione pari a una gigatonnellata di CO2. Al momento circa 294 sono attivi e 128 devono ancora

partire.

Verrebbe da dire che al momento attuale non c’è una reale intenzione di abbandonare il fossile, anzi.

Siamo in presenza di una deriva contraria impegnata a ricavare il più possibile lucrando su scarsità, emergenza e paura. Mentre la scienza reclama una riduzione di almeno il 99% nell’approvvigionamento e uso del carbone, del 70% del petrolio e del 84% di gas entro il 2050 in modo da mantenere l’aumento di temperatura a un massimo di 1,5 gradi, c’è chi si permette di investire in progetti capaci da soli di bruciare quella medesima soglia. A scapito di tutti e per il guadagno di pochi.

Scommettere su un futuro perduto oltre a essere estremamente lucrativo è piuttosto facile. È come giocare a carte scoperte una partita di carte in cui si è anche alterato il mazzo.

Peccato che non tutte le persone siano disposte a perdere la partita, nonostante la repressione crescente e l’iniquità drammatica di forze, l’attivismo internazionale e glocalizzato (che si coordina globalmente senza perdere l’identità locale e territoriale) stanno scendendo in campo con frequenza maggiore, alzando la posta e sperando che basti il dissenso politico a innescare un processo democratico degno di questo nome.

Mentre le stagioni, le persone e gli animali non umani migrano, soffrono e muoiono, mentre la biodiversità si scopre sempre meno diversa e varia, mentre i fiumi si dilatano e restringono a ritmi mai visto, mentre i ghiacciai crollano in cascate d’acqua, mentre la temperatura sale e assale l’ambiente, c’è chi guadagna trilioni di dollari.

Ma oltre a loro ci sono migliaia, milioni, miliardi di persone stanche di non essere ascoltate o considerate.

E in quest’ottica, il solito dire che “non ci sono più le stagioni di una volta” potrebbe finalmente portare a un cambiamento radicale.

Forse anche solo al desiderio di poter ambire qualcosa di più di un ottobre con 25 gradi.

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