Economia

Le banche investono 4.600 miliardi in combustibili fossili

Il rapporto annuale “Banking on Climate Chaos” rivela che i più importanti istituti di credito continuano a finanziare in modo massiccio le compagnie di estrazione di gas e petrolio, nonostante i propositi ambientalisti. In testa JPMorgan Chase, ma ci sono anche alcune italiane
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Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
31 marzo 2022 Aggiornato alle 09:00

A sei anni dalla firma dell’Accordo di Parigi sul clima, 60 tra i maggiori gruppi bancari al mondo hanno investito in totale 4.600 miliardi di dollari in combustili fossili, di cui 742 miliardi solo nel 2021. A rivelarlo è il 13esimo rapporto annuale “Banking on Climate Chaos”, curato da 6 Ong (Rainforest Action Network, BankTrack, Sierra Club, Indigenous Environmental Network, Oil Change International, Reclaim Finance) e approvato da più di 500 organizzazioni di oltre 50 Paesi.

«Una cifra enorme», commenta Andrea Baranes, vicepresidente di Banca Etica, che sottolinea come «mentre la comunità internazionale sanciva l’urgenza di agire contro i cambiamenti climatici, banche e finanza andavano in direzione diametralmente opposta».

In testa alla classifica gli istituti di credito statunitensi JPMorgan Chase, Citigroup, Wells Fargo e Bank of America, che insieme coprono un quarto dei finanziamenti totali. Segue la Royal Bank of Canada, che con Wells Fargo, JPMorgan e altre quattro banche canadesi è tra gli istituti che hanno incrementato i finanziamenti ai combustili fossili dal 2020 al 2021.

Il rapporto, inoltre, mostra come 28 banche che nel 2021 hanno aderito alla Net-Zero Banking Alliance, un’iniziativa promossa dalle Nazioni Unite per accelerare il raggiungimento delle zero emissioni nette entro il 2050, abbiano contemporaneamente finanziato 20 delle maggiori compagnie che si sono espanse nell’estrazione di gas e petrolio.

«L’ennesima conferma dell’enorme greenwashing intorno al tema della sostenibilità in ambito finanziario», commenta ancora Andrea Baranes, «una sostenibilità vista come strumento di marketing ma non per riorientare il proprio business». Tra le società coinvolte anche UniCredit e Intesa Sanpaolo, rispettivamente al 37esimo e 43esimo posto della classifica generale.

Queste operazioni, secondo quanto dichiarato da Greenpeace e ReCommon in una nota congiunta, «rischiano di accelerare il sempre più rapido scongelamento del permafrost sulla terraferma».

Tra le più discusse, fin dalla firma dell’accordo nel 2018 da parte dell’Italia, c’è il progetto di liquefazione del gas fossile Arctic LNG 2. Gestito dalla società russa Novatek, dovrebbe essere finanziato da Intesa Sanpaolo insieme a Cassa depositi e presiti per un valore pari a 500 milioni di euro sul totale stimato di 21 miliardi di dollari, partecipazione che è stata bloccata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

La guerra in corso, secondo Greenpeace, ha mostrato ancora una volta «quanto questo business sia correlato all’industria bellica e ai conflitti armati, esacerbando situazioni di instabilità sociopolitica e finanziando l’attività degli eserciti».

«Oltre a scatenare il caos climatico in tutto il globo, la nostra continua dipendenza dai combustibili fossili sta sostenendo alcuni dei regimi politici più atroci del mondo», gli fa eco Katrin Ganswindt, responsabile della ricerca finanziaria dell’organizzazione no-profit Urgewald e curatrice del rapporto.

Per avere un riscontro immediato basti pensare che nel 2021 JPMorgan ha fornito 1,1 miliardi di dollari di finanziamenti per combustibili fossili a Gazprom, il colosso statale russo che ora lo stesso Occidente vorrebbe sabotare per affrancarsi dal regime di Putin.

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