Ambiente

Per le industrie fossili il futuro non è roseo

Uno studio del Mit rivela i rischi per gli investitori del fossile e le perdite economiche che potrebbero incontrare. Grazie a politiche climatiche più ambiziose
Credit: Colton Sturgeon/unsplash
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22 agosto 2022 Aggiornato alle 17:00

Più sono rigorose le politiche di decarbonizzazione più cresce il volume dei combustibili fossili non sfruttati e di conseguenza la potenziale perdita di valore patrimoniale per chi possiede in questo settore ma anche per chi intende investire.

Una recente analisi del Mit, Massachusetts Institute of Technology, racconta come in questo momento storico di transizione energetica ed ecologica gli asset bloccati del fossile potrebbero portare a costi sempre più elevati per produttori e investitori.

Si parte da un assunto: come spiega uno studio del 2021 pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori per evitare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici le grandi riserve mondiali di combustibili fossili, a partire da carbone e petrolio, devono rimanere non sfruttate.

Circa il 90% del carbone e quasi il 60% del petrolio e del gas naturale non dovrebbero proprio più essere estratti se vogliamo avere una probabilità del 50% che il riscaldamento globale non superi la famosa soglia dei +1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Per poter centrare questo obiettivo in tutto il mondo si stanno intraprendendo azioni che sposano, almeno a parole, la transizione energetica: se si accelerasse su questa strada, sempre rispettando gli accordi di Parigi, le società di combustibili fossili e gli investitori si troverebbero davanti sempre più ostacoli finanziari, con rischi in aumento per esempio legati ad attività bloccate.

In un nuovo studio pubblicato su Climate Change Economics i ricercatori del Mit Joint Program on the Science and Policy of Global Change provano dunque a stimare l’attuale valore patrimoniale globale dei combustibili fossili non sfruttati fino al 2050.

Una analisi che attraversa diversi scenari di politica climatica, da quello meno ambizioso (chiamato Paris Forever) dove si prevede la riduzione delle emissioni di gas serra come stipulato a Parigi nel 2015, sino a uno scenario più stringente (Net Zero 2050) composto dalle attuali proposte e azioni dichiarate dalla politica internazionale volti a raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette globali entro il 2050.

In base a modelli economici e programmi elaborati dal Mit che tengono conto dell’attuale settore energetico e delle risorse dell’industria energetica nel tempo, lo studio rileva che il valore attuale netto globale della produzione di combustibili fossili non sfruttati fino al 2050 varia da 21,5 trilioni di dollari (Paris Forever) a 30,6 (Net Zero 2050). Cifre che secondo Henry Chen, ricercatore e autore dello studio, indicano che «più rigorosa è la politica climatica, maggiore è il volume dei combustibili fossili non sfruttati, e quindi maggiore è la potenziale perdita di valore patrimoniale per chi investe nei combustibili fossili».

Gli stessi esperti del Mit, all’interno del loro studio, hanno analizzato poi nel dettaglio tutti i rischi degli investimenti nel fossile e invitano imprese e istituzioni finanziare a combinare i loro dati, con quelli dei portafogli di investimento, proprio per comprendere (e magari non investire) le potenziali perdite che si incontreranno nella transizione energetica e climatica del futuro.

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