Economia

Donne e lavoro: sfatiamo quattro miti

Anche quest’anno arriva il Report Women in the Workplace di LeanIn.Org e McKinsey & Company. E ci aiuta (ancora una volta) a sparigliare le carte
Credit: Ivan Samkov  

La ricerca di LeanIn.Org e McKinsey & Company Women in the Workplace fornisce ogni anno un bacino prezioso di dati e di spunti riguardo alla presenza delle donne sul mercato del lavoro.

Certo, è incentrato sugli Stati Uniti, ma spesso proprio da lì arrivano le onde lunghe delle tendenze che riguardano anche questo contesto, quindi è il caso di approfondire ancora una volta le conclusioni alle quali il team di ricerca è giunto. Anche perché quest’anno, il Report è particolarmente utile in quanto ci aiuta a decostruire quattro miti sulla presenza femminile in ambito lavorativo.

Le donne non sono ambiziose

Mito numero uno: le donne sarebbero sempre meno ambiziose.

Iniziamo col dire che gli stereotipi sono ancora ferocemente in azione e che le donne, perfino in un mercato del lavoro dinamico come quello statunitense, rappresentano solo il 28% del totale delle posizioni in C-suite (ovvero, le cariche apicali più importanti, come Ceo, Cfo, Cro e così via).

Ma diciamo anche che, dal 2015 al 2023, la loro presenza in queste posizioni è aumentata del 65%, andando a incrementare le speranze di farcela per ciascuna delle donne interessate a sviluppare in questo modo la propria carriera.

È quindi corretto affermare che le donne stanno diventando meno ambiziose?

Stando ai dati, sembrerebbe piuttosto vero il contrario, in particolar modo per quanto riguarda le donne più giovani.

Secondo le rilevazioni di LeanIn.Org e McKinsey & Company, infatti, tra le lavoratrici di età inferiore ai 30 anni, 9 su 10 puntano a essere promosse al livello superiore e 3 su 4 ambiscono a diventare senior leaders.

Altri spunti interessanti: a seguito della pandemia, le lavoratrici stanno ridefinendo le priorità nelle proprie vite, sia personali che lavorative. Ma anche quelle che hanno scelto di lavorare da remoto o in maniera ibrida non intaccano minimamente la propria ambizione e anzi, pretendono di poter progredire esattamente come chi invece ha scelto di recarsi in ufficio tutti i giorni.

Ah, dettaglio succoso: anche gli uomini stanno rivedendo le proprie priorità. Secondo i dati, il 60% dei lavoratori sta compiendo i primi passi per dare nuova priorità alla propria vita personale e, proprio come le donne, non vuole che questo impatti sulle proprie possibilità di fare carriera.

Le donne vengono bloccate dal tetto di cristallo

Anche questo è un falso mito, secondo LeanIn.Org e McKinsey & Company.

Più che al tetto di cristallo, le difficoltà che le donne incontrano nelle progressioni di carriera sarebbe da attribuire allo scalino rotto (in inglese, broken rung).

Il problema, in realtà, non arriva solo quando le donne sono vicinissime alla vetta, ma emerge sin dal principio: c’è uno scalino spezzato che, già nel primo passaggio al ruolo manageriale, impedisce loro di iniziare la propria carriera con le stesse opportunità degli uomini.

Finora l’abbiamo spiegato così: le donne non chiedono le promozioni e comunque è più facile che fuorescano dal mercato del lavoro. Questi nuovi dati spezzano le nostre convinzioni più radicate: le donne al livello di ingresso delle posizioni manageriali chiedono le promozioni esattamente come gli uomini al pari livello. E neppure se ne vanno: quest’anno, a lasciare la propria azienda è stato il 17% degli uomini entry level contro il 16% delle donne nella medesima posizione.

E allora, cosa accade? Una delle spiegazioni fornite dal Report è il cosiddetto “performance bias”: le donne sono spesso assunte e promosse sula base di quanto hanno già conseguito, mentre gli uomini sono spesso assunti e promossi sulla base del loro potenziale futuro.

Le micro-aggressioni hanno impatti minimi

Prima di entrare nel dettaglio del mito numero 3, diamo una definizione di micro-aggressione.

Le micro-aggressioni sono comportamenti e azioni sminuenti che si basano sugli stereotipi. Secondo i dati presentati, le donne subiscono micro-aggressioni in misura significativamente superiore rispetto agli uomini e questo impatta sia sulla loro salute che sulla loro possibilità concreta di fare carriera all’interno della propria azienda.

In questa cornice, le donne reagisco attuando quello che viene definito come self-shileding, cercando quindi di proteggersi conformandosi alle aspettative altrui, per non essere oltremodo criticate. Vi faccio qualche esempio: si preoccupano molto del loro aspetto per apparire professionali, nascondono parti importanti di se stesse per poter essere accettate, tendono a non condividere i propri pensieri perché temono il giudizio altrui. Vi siete riconosciute? Ecco, non siete le sole.

Sono soprattutto le donne a richiedere (e a beneficiare di) part-time e lavoro flessibile

E chiudiamo con il mito numero quattro, smentendolo subito con un dato: tanto le donne quanto gli uomini collocano il lavoro flessibile nelle prime tre posizioni non solo dei benefit, ma anche delle strategie di successo della propria azienda.

Stando ai dati pubblicati nel Report, l’83% dei lavoratori associa al lavoro da remoto maggiori efficienza e produttività (e vale tanto per gli uomini, quanto per le donne). Ma mi piace condividere una curiosità: il 29% delle donne e il 25% degli uomini che lavorano da remoto ha confessato che uno dei maggiori benefici derivanti dalla propria scelta risiede nel fatto di non dover interagire con colleghi particolarmente spiacevoli!

Aggiungo un’ultima considerazione: ricerche come queste sono risorse preziose, non solo perché provengono da fonti autorevoli e riconosciute internazionalmente, ma anche perché è proprio a partire dai dati che possiamo lavorare, dapprima sulla consapevolezza collettiva e poi anche sull’elaborazione di soluzioni possibili.

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