Diritti

L’Arabia Saudita si candida per ospitare la World Cup 2034

Mentre il Paese ha fatto richiesta alla Fifa, gli attivisti lo accusano di ignorare i diritti umani e denunciano l’insostenibilità ambientale della costruzione di nuovi edifici
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Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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11 ottobre 2023 Aggiornato alle 07:00

L’Arabia Saudita ha ufficialmente annunciato la sua intenzione di candidarsi per ospitare la Coppa del Mondo del 2034. Il Paese si è proposto un’ora dopo che la Fifa, la Federazione Internazionale delle Confederazioni Calcistiche, ha spiegato in una dichiarazione i suoi piani per la World Cup del 2030, invitando i membri dell’AFC Asian Cup, la competizione calcistica in cui si sfidano le nazionali maschili asiatiche, a candidarsi per il 2034. La prossima edizione, quella del 2027, verrà ospitata proprio dall’Arabia Saudita.

Quello della Coppa del Mondo è solo l’ultimo passo di una campagna volta ad affermare il regno come una potenza sportiva globale, mentre gli attivisti lo accusano di sportwashing. Ovvero: sfruttare lo sport “per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani nel proprio paese”, spiega Amnesty International.

Se l’Arabia Saudita dovesse assicurarsi la Coppa del Mondo del 2034, dovrà inevitabilmente affrontare le critiche mosse nei suoi confronti, non solo da parte degli attivisti per i diritti umani: la costruzione di nuove strutture per ospitare le partite, i calciatori e gli sponsor potrebbero suscitare una reazione anche nei difensori dell’ambiente, che già l’anno scorso avevano lanciato l’allarme dopo che al Paese erano stati concessi i diritti di hosting per i Giochi Invernali Asiatici del 2029.

La competizione prevede 47 eventi e si terrà a Trojena, un’area da 26.500 km² che verrà edificata entro il 2026 e, secondo il progetto Neom da 500 miliardi di dollari, comprenderà strutture per sciare all’aperto, un lago artificiale d’acqua dolce e una riserva naturale. Si tratta del progetto più ambizioso del principe ereditario Mohammed bin Salman nell’ambito del programma strategico Vision 2030, volto a ridurre la propria dipendenza dal petrolio e diversificare l’economia del Paese.

La Fifa, inoltre, ha allentato le regole per potersi candidare come Paese ospitante della Coppa del Mondo maschile del 2034: se prima richiedeva l’esistenza di almeno 7 stadi, ora i criteri ne prevedono solo 4. Per i tornei del 2030 e del 2034, le federazioni affiliate “devono proporre un minimo di 14 stadi idonei”, con “un minimo di quattro stadi esistenti”, si legge nei documenti. Una mossa in contrasto con i tentativi internazionali (e di altri sport) di realizzare eventi più sostenibili e ridurre al minimo la costruzione di nuovi edifici.

Un portavoce della Fifa, citato dal Guardian, ha dichiarato che «i regolamenti di gara richiedono alla Fifa di utilizzare i requisiti 2030 come base e di adattarli» per renderli adatti allo scopo. «Il requisito di quattro stadi esistenti per l’edizione 2034 determina un tempo di attesa significativamente più lungo per il torneo e protegge dalle infrastrutture che sono più obsolete, tenendo conto della migliore qualità possibile» e richiedendo «ristrutturazione o ricostruzione», ma «mantenendo i principali elementi strutturali».

Il Comitato Olimpico Internazionale, la massima autorità del movimento olimpico, ha incoraggiato l’uso delle strutture esistenti da parte dei Paesi ospitanti. Secondo i piani, le Olimpiadi di Parigi 2024 dovrebbero sfruttare al 95% strutture preesistenti (comprese alcune ristrutturate e modernizzate) o temporanee.

Riguardo al progetto Neom, “le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato violazioni da parte delle autorità saudite”, ha spiegato la Ong Human Rights Watch, “inclusi sgomberi forzati contro la comunità di Huwaitat per fare spazio alla costruzione. A luglio, le autorità saudite hanno annunciato i piani per The Line, una città stratificata verticalmente all’interno di Neom che utilizzerà pesantemente l’intelligenza artificiale e la tecnologia “dell’interfaccia umano-macchina”, sollevando preoccupazioni sull’uso della tecnologia digitale “per sorvegliare i futuri residenti”.

Nel corso del 2023, secondo il Gulf Center for Human Rights, organizzazione che difende i diritti umani nel Golfo Persico e negli Stati limitrofi, le autorità hanno continuato a perseguitare i difensori dei diritti umani e imprigionare altri attivisti. “La pena di morte è un rischio per chiunque esprima la propria opinione sui social network” spiegano, denunciando in particolare la condanna alla pena capitale emessa contro l’attivista Mohammed Al-Qahtani, “fatto sparire con la forza dalle autorità saudite” l’anno scorso per “aver utilizzato Internet per lacerare il tessuto sociale [del Paese]”.

Il 10 luglio 2023 il GCHR ha documentato la condanna a morte contro l’attivista Mohammed bin Nasser Al-Ghamdi a per i suoi tweet e le sua attività su Youtube in cui criticava la corruzione e le violazioni dei diritti umani… Il 15 settembre 2023 gli esperti delle Nazioni Unite hanno rilasciato una dichiarazione in cui esortavano l’Arabia Saudita a “revocare immediatamente la condanna a morte emessa nei confronti di Mohammed Al-Ghamdi” perché “la repressione della libertà di espressione nel Paese continua a intensificarsi”. Così come gli affari del Paese intorno alle competizioni sportive.

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