Ambiente

Alla scoperta del Pollino, tra escursioni e prodotti DOP

Ho trascorso 3 giorni nella riserva naturale più grande d’Italia, in un territorio che in pochi conoscono davvero, facendo trekking e assaggiando squisiti cibi locali
Credit: Caterina Tarquini

C’è una montagna - intendo un modo di vivere la montagna - probabilmente diversa da quella a cui siamo abituati nel resto d’Italia, antica e insolitamente selvaggia, sferzata dal vento e abitata da pini loricati e faggi secolari. Una montagna sulle cui vette possono scorgersi rispettivamente a ovest e a est due mari diversi, il Tirreno e lo Ionio. Nelle giornate più terse, aguzzando lo sguardo, si riescono persino ad avvistare le sagome grigio-azzurre delle Eolie. E invece, per paradosso, si potrebbe trascorrere un’intera giornata senza imbattersi o quasi in un altro escursionista.

Sto parlando del Massiccio del Pollino, tra Calabria e Basilicata, il cuore e i polmoni – considerando la Faggeta Vetusta di Cozzo Ferriero, riconosciuta nel 2017 sito Unesco - dell’omonimo Parco Nazionale, una delle aree protette più estese d’Europa (circa 190.000 ettari) e in assoluto la più vasta in Italia.

Il massiccio comprende le cime più alte del meridione, come Serra Dolcedorme (2267 metri), Serra di Crispo (2054 metri), Serra delle Ciavole (2130 metri), Monte Pollino (2248 metri) e Serra del Prete (2180 m).

Un soggiorno a Rotonda tra matrimoni degli alberi e prodotti Dop

Grazie a Ivy Tour e ATP Basilicata, ho trascorso alcuni giorni nel grazioso albergo diffuso Borgo Ospitale, nel piccolo comune di Rotonda, un borgo medievale a 580 metri di quota nei pressi del fiume Lao, nella splendida cornice della riserva naturale del Pollino. Rotonda conta appena 3277 abitanti e per trovarlo sul web bisogna googlare anche la provincia (Potenza), altrimenti i risultati potrebbero riferirsi ad altre località omonime.

Eppure, a dispetto di qualsiasi analisi demografica, appare una cittadina piuttosto vivace. La piazza, circondata dalla farmacia, dal banchetto di frutta e verdura, da diversi bar e da una vineria, è sempre animata dal chiacchiericcio soffuso dei compaesani.

E lì, nella piazza affollata dai cittadini in festa, colorata da maschere, fiori e ghirlande, avviene il 13 giugno un rito carico di fascino e misticismo, il matrimonio degli alberi. Celebrato in vari comuni della Basilicata secondo tradizioni e credenze diverse, è un antichissimo rito arboreo.

Nel caso di Rotonda, l’abete bianco, che rappresenta l’elemento femminile, e il faggio, quello maschile, l’uno sradicato dai boschi di Terranova di Pollino, l’altro scelto tra gli esemplari presenti nella località di Piano Pedarreto, vengono condotti al centro del paese dove avviene un insolito rito nuziale. Si compie, infatti, una vera e propria unione artificiale tra i due. La festività, di origine pagana, è legata alla fertilità e al culto di Madre Natura, ma si è fusa nel tempo con i festeggiamenti in onore del patrono del paese, Sant’Antonio.

È proprio a Rotonda che si può scoprire e assaporare la cucina locale, consigliati dall’affidabile chef Donato del ristorante à Rimissa, tra croccanti peperoni cruschi che «bisogna tenere sul fuoco né un attimo in più né uno in meno per far sì che scrocchino sotto i denti», formaggi (perlopiù di pecora), salumi e prodotti DOP tutti da scoprire.

Il primo di questi trae in inganno per il suo aspetto: pur avendo tutta l’aria di essere un comunissimo pomodoro, è in realtà una melanzana, per l’appunto la melanzana rossa, Solanum ethiopica. Importata dall’Etiopia dai reduci delle guerre coloniali, ha trovato in Basilicata un ottimo terreno di coltivazione. Molto più saporita e amarognola della classica melanzana, viene impiegata in diverse ricette e cucinata nei modi più disparati: sottolio, sottaceto, con patate e cipolle, utilizzata per creme e marmellate – squisita quella al rum da spalmare su un formaggio saporito - ma consumata anche cruda, con un po’ di rucola e una spolverata di grana. Addirittura, tagliata a fette e mescolata nel Rotondjito, una variante del mojito, che spicca nel menù nella sfiziosa Enoteca Pollino Divino.

Anche l’altra eccellenza DOP del Pollino, il fagiolo poverello, riserva qualche sorpresa, innanzitutto nell’origine del nome. La pianta che lo produce, infatti, fatica a dare molti frutti. Leggermente più piccoli dei fagioli, da assaggiare assolutamente abbinati, ancora verdi, a patate schiacciate, e conditi con lardo e cipolla.

Sulle tracce del pino loricato

Ma il vero simbolo del Parco, che racchiude in sé tutta la sua monumentale bellezza, è il pino loricato, una conifera che in Italia compare quasi esclusivamente sul territorio del Pollino (è possibile trovarne qualche esemplare solitario anche nell’area dei Balcani).

Dai Piani dell’Impiso, dopo un iniziale tratto sotto le fronde di una faggeta, popolata dai bramiti dei cervi durante la stagione degli amori, un sentiero conduce a una conca carsica, tutta rocce e pietre rivestite di vegetazione. Lì, nei pressi di Serra di Crispo, dove i faggi si diradano e non resistono alle intemperie, si schiude una vallata percorsa dalle ombre delle nuvole sempre in movimento, dove mucche e cavalli pascolano liberamente e l’erba bassa oscilla al ritmo del vento: è il Giardino degli dei.

Il nome è appropriato e rende bene il fascino ancestrale, non ancora antropizzato, del luogo. Il percorso escursionistico è probabilmente il più battuto della zona, ma niente paura, potrai goderti il panorama in tutta tranquillità.

L’intero paesaggio sembra convergere su due figure che si stagliano alte, quasi a guardia della valle, e per questo affettuosamente soprannominate ‘i gendarmi’: sono i pini loricati, colossi più spogli delle conifere a cui siamo abituati, con i rami cresciuti in pose curiose, piegati dal vento e dalle bufere di neve.

Gli esemplari più vecchi possono arrivare ad avere oltre 1000 anni - il pino loricato più vecchio mai misurato si trova proprio nel Pollino è Italus, e ha più di 1230 anni - e hanno la caratteristica corteccia composta da placche poligonali, simile alla lorica, – da qui il nome ‘pini loricati’- la corazza dei legionari romani. Crescono in gruppetti, lungo le creste rocciose, sulle praterie d’alta quota o sul ciglio dei dirupi. Se colpiti da un fulmine, si squarciano e parte del fusto muore, eppure restano vivi. Le loro sagome scure e contorte si intravedono nelle sequenze della pellicola di Michelangelo Frammartino Il buco (premio speciale della giuria al Festival di Venezia), girato nell’Abisso del Bifurto, nella parte calabrese del Parco del Pollino.

Qualche info tecnica

Difficoltà: E - Escursionistica

Quota di partenza: 1454 mt

Quota di arrivo: 2044 mt

Dislivello: 600 mt circa

Distanza: 16 km

Rifornimento idrico: Portare acqua con sé

Tempo: 5h oltre le soste

Difficoltà: E - Escursionistica

Un’escursione insolita. Che cos’è una faggeta vetusta

C’è anche un altro percorso, meno conosciuto ma altrettanto interessante, che conviene intraprendere assieme a una guida del posto, perché tracciato da poco e non sempre contrassegnato in modo chiaro. Partendo dal Rifugio Fasanelli in località Pedarreto (1350 mslm), il tragitto, lungo 3 km, conduce in una fitta faggeta. Molti tronchi appaiono forati in più punti sono morti e pieni di vermi e vi hanno banchettato a colpi di becco i picchi neri e quelli rossi mezzani. Su altri rami è possibile scorgere scoiattoli neri meridionali e variabili, fanno capolino dagli alberi e osservano da lontano i visitatori.

Mano a mano che si sale – in questa stagione gli scarponi affondano nel foliage giallo e rossiccio - ci si accorge di avere attorno faggi un po’ diversi da quelli che costeggiavano il sentiero all’inizio dell’escursione. Si tratta di una faggeta vetusta, che, per le difficoltà nel raggiungerla, non hai mai conosciuto la mano dell’uomo.

Una foresta vergine, in quota, che non è stata mai tagliata: per questo motivo, gli alberi hanno età e dimensioni differenti e alcuni possono arrivare anche a 600 anni. È la Faggeta Vetusta di Cozzo Ferriero (1803 mslm), la vetta che si raggiunge, proseguendo, da cui è possibile intravedere il Tirreno e lo Ionio.

Qualche info tecnica

Difficoltà: E - Escursionistica

Quota di partenza: 1230 mt

Quota di arrivo: 1800 mt

Dislivello: 570 mt

Distanza: 9 km

Rifornimento idrico: Portare acqua con sé

Tempo: 6 ore

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