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Chi è Denis Mukwege, candidato presidente del Congo

Premio Nobel per la Pace nel 2018 e medico da oltre 30 anni, è conosciuto in tutto il mondo per il suo impegno nel curare le donne vittime di violenze sessuali. Ti raccontiamo la sua storia
Credit: EPA/ANTONIO PEDRO SANTOS  

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9 ottobre 2023 Aggiornato alle 17:00

Da premio Nobel per la Pace a candidato presidente.

Denis Mukwege ha da poco annunciato ufficialmente la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali nella Repubblica Democratica del Congo, previste per il 20 dicembre di quest’anno. Mukwege deve molta della sua fama alla sua attività volta a curare i danni fisici e psico-sociali riportati dalle vittime di stupro. Un impegno che gli è stato riconosciuto anche a livello internazionale con la vittoria del premio Nobel per la Pace nel 2018.

Nato a Bukavu nel 1955, Mukwege è un medico specializzato in ginecologia e ostetricia. Inoltre è anche un pastore protestante.

Fin dagli anni ’90 si è distinto per il suo impegno nell’aiutare le donne che subiscono stupri e violenze. Un fenomeno purtroppo molto frequente nella Repubblica Democratica del Congo, dilaniata nel corso degli anni da scontri interni.

«Quando ho aperto il mio primo ospedale non mi aspettavo di trovarmi di fronte a questa situazione, ma solo nei primi tre mesi sono arrivate 45 donne con violenze tremende, che in alcuni casi avevano totalmente devastato i loro genitali», ha spiegato nel 2019 a Famiglia Cristiana, raccontando così di avere iniziato a curare «questa nuova patologia».

Le attività di Mukwege sono state spesso ostacolate.

Il suo primo reparto ginecologico, ospitato dall’ospedale di Lemera, venne distrutto nel 1996 e anche il suo primo ospedale, costruito a Bukavu, venne raso al suolo nel 1998 durante la seconda guerra del Congo.

Questi eventi non hanno però fermato l’impegno di Mukwege che ha ricostruito la struttura a Panzi. Nel corso degli anni il medico è diventato il punto di riferimento per moltissime vittime di stupro, prendendosi cura di oltre 50.000 donne. Anche se ha messo in chiaro di non amare questo tipo di dati perché «rappresentano la storia di persone» e per questo non vanno quantificati.

Nel frattempo il suo impegno è stato notato anche dalle istituzioni internazionali: sia le Nazioni unite sia il Parlamento europeo hanno deciso di conferirgli premi per le sue attività.

Poi nel 2018 è arrivata la massima notorietà con il premio Nobel per la Pace.

Riconoscimenti importanti che non hanno però fermato gli attentati nei suoi confronti. Questi attacchi sono quasi arrivati a costringerlo ad abbandonare il Paese.

«Dopo l’ultimo attentato potevo andare a Boston, ma non posso abbandonare l’umanità che aiuto qui. Se loro non possono andare via, non posso farlo neanche io», ha spiegato a Famiglia Cristiana.

Nel frattempo ha cercato di utilizzare la sua popolarità per attirare l’attenzione mediatica sul Congo.

Nel 2022 ha detto all’Avvenire: «Anche nel mio Paese c’è una guerra che è già costata sei milioni di morti. Le televisioni americane ed europee dovrebbero parlarne come parlano dell’Ucraina».

La sua popolarità nel Paese aveva già portato in molti a ipotizzare un suo impegno politico. «Non sono un politico, ma se la popolazione dovesse manifestare la volontà di candidarmi, potrei prendere in considerazione l’ipotesi», aveva detto al Venerdì di Repubblica già nel 2017.

Oggi sono passati sei anni e il momento sembra arrivato.

Alle elezioni sfiderà il presidente in carica Félix Tshisekedi.

Nel suo primo discorso ha promesso di lottare per rendere la Repubblica Democratica del Congo un Paese più sicuro.

«Non mi candido per interesse, né per potere, ma per salvare la mia patria», ha aggiunto, definendosi «un cittadino indignato e in rivolta» e dicendo di essere pronto a «lavorare, lavorare e lavorare». Secondo diversi analisti il sostegno popolare è dalla sua parte. Le urne parleranno il 20 dicembre.

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