Ambiente

Tra cure di lusso e crudeltà: i due volti della Cina sugli animali

Nel Paese cresce a ritmi sfrenati la pet economy, il nuovo business all’insegna di vizi e comfort di ogni tipo per gli animali d’affezione. Ma negli allevamenti a fare da padrona è la barbarie
Credit: Alexandra Novitskaya
Tempo di lettura 4 min lettura
14 settembre 2023 Aggiornato alle 17:00

Nel mondo degli animali c’è un nuovo tipo di business che si sta facendo largo, svuotando i portafogli e rivelando un lusso sfrenato e, forse, ingiustificato: è quello della pet economy, un modello di economia che ruota intorno a un fantomatico ed esagerato benessere degli animali domestici.

Dalle spa per cani ai massaggi rilassanti per i gatti, passando per bagni termali, maschere d’argilla, vestiti su misura con tessuti pregiati e toelettature a cadenza settimanale, con piega, smalto e profumo inclusi. Il mercato della pet economy è in grado di offrire vizi e comfort di ogni tipo, ma anche di dividere in due l’opinione pubblica: da un lato chi difende le cure luxury per i migliori amici dell’uomo e dall’altra chi sostiene un’umanizzazione tale da privare gli animali dell’essenza della loro natura, libera e selvaggia.

Se in gran parte del mondo l’idea di toelette e vestitini per cani accende i dibattiti e fa discutere senza, però, creare granché scalpore, ben diversa è la situazione in Cina, un Paese di cittadini storicamente e culturalmente restii al possesso di animali domestici, ma in cui l’adozione di animali d’affezione sta diventando un trend sempre più popolare.

E se Mao Zedong riteneva che fossero un esclusivo lusso borghese, oggi a smentirlo sono i numeri.

In Cina, infatti, complice un’accresciuta sensibilità personale e una mentalità dei giovani sempre più cosmopolita, sono diventati quasi 120 milioni i cani e i gatti adottati dai cittadini, l’industria pet è cresciuta del 25% in pochissimi mesi e nelle città nascono ogni giorno centri di salvataggio e adozione.

Qui gli animali domestici hanno appuntamento fisso nei saloni di bellezza, piatti gourmet serviti 3 volte al giorno, camere da letto e cucce di ogni forma e dimensione. Una vita tra vizi e comfort, anche quando basterebbe una pallina sbiadita e consumata e un giardino in cui correre per renderli davvero felici.

Purtroppo, però, quello dei centri benessere e delle piacevoli cure è solo uno dei due volti che la Cina mostra quando si parla di animali: mentre associazioni animaliste hanno alzato più volte la voce contro il Governo affinché venissero approvate leggi contro il commercio e il consumo della carne di cane – una pratica ormai in disuso e rimasta solo in piccole comunità - , quasi nessuno pare ricordarsi di fare qualcosa per fermare la barbarie e le crudeltà esercitate negli allevamenti di bestiame.

Esistono, quindi, animali di serie A e animali di serie B?

Tutto il mondo è paese, ma negli allevamenti della Cina sembra non esistere neanche un diritto alla dignità in punto di morte.

Qui non vi sono forme di tutela per gli animali e l’idea che questi possano avere sentimenti o diritti è pura fantascienza.

Non è un caso, allora, se su una scala da “eccellente” a “scarso” - costruita dal gruppo attivista World Animal Protection Uk per valutare le condizioni di benessere degli animali – il Paese orientale si attesti sullo “scarso”: qui il bestiame può essere macellato senza essere prima stordito (un ultimo atto di umanità prima della crudeltà), i polli vengono rinchiusi in anguste gabbie metalliche e i maiali vivono in centinaia in condizioni estreme all’interno di piccole strutture.

Non si tratta di rispetto della tradizione e neanche di abitudine a un rodato stile di vita.

Si tratta di un livello culturale e d’istruzione talmente basso da diventare parte del problema, se non causa di esso. Lo afferma Peter Li, professore dell’Università di Houston-Downtown.

Così, se secondo il pensiero del popolo cinese gli animali da allevamento non hanno bisogno di cure o benessere – e anzi, “quelli uccisi senza alcun dolore non hanno lo stesso gustoso sapore di quelli macellati in maniera naturale”-, allora forse si rende necessario un cambiamento educativo e culturale nel modo di pensare il bestiame: non più merce di scambio e potente fonte economica, ma esseri senzienti e capaci di provare gioia, dolore, paura e tristezza.

È necessario educare il cittadino a scelte alimentari più sostenibili e sensibilizzarlo per aumentare la consapevolezza sul tema del benessere degli animali e creare una coscienza che, almeno sul piano dei diritti e delle tutele, non faccia distinzione tra quelli d’affezione e quelli da allevamento.

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