Culture

Riconnessioni: il riscatto dell’Emilia-Romagna

Tim ha inaugurato una nuova mostra al Meeting di Rimini 2023, esponendo 100 foto realizzate dalla fotografa Rosa Mariniello per raccontare come la regione ha reagito all’alluvione dello scorso maggio
Credit: Rosa Mariniello
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30 agosto 2023 Aggiornato alle 18:00

La mostra fotografica, che porta il simbolico nome di Riconnessioni, sia in riferimento al lavoro svolto prontamente dai tecnici dell’azienda per ripristinare le linee e le infrastrutture della comunicazione, sia a tutto il processo emotivo che ha dovuto affrontare una regione intera per risollevarsi da questa calamità naturale, conta 100 scatti realizzati dalla fotografa Rosa Mariniello.

Con questo progetto realizzato in collaborazione con Tim, Mariniello ha voluto raccontare e, soprattutto, documentare, la situazione degli abitanti delle zone più colpite dall’alluvione che, tra la notte del primo e del due maggio 2023, si è abbattuta sull’Emilia-Romagna.

Sulla genesi e il successivo sviluppo della collaborazione, la fotografa racconta: «Due settimane dopo l’alluvione, mi trovavo nelle zone più colpite. Subito, non essendo del posto e ritrovandomi a seguire le strade del navigatore, mi sono ritrovata nel centro di Faenza, e, mentre mi perdevo tra le vie, ho visto con i miei occhi quello che stava succedendo. Sono arrivata a lavorare a questo progetto già devastata per quello che avevo visto a Faenza e già, in un certo senso, ero fuori di me: vedere una catastrofe del genere in televisione è una cosa e vederla dal vivo è un’altra, ritrovarmici dentro è stato difficile. Ogni giorno sono stata impegnata con i tecnici; una in particolare, Nicoletta, mi ha accompagnata e mi ha fatto da assistente nel corso delle giornate di lavoro, portandomi da una parte all’altra. Mi sono ritrovata ad assistere in diretta al lavoro dei tecnici, a esempio a Forlì, dove la centrale era stata devastata e l’acqua aveva addirittura scardinato via la porta tagliafuoco, sono arrivata sul luogo mentre i tecnici stavano ricollocando al proprio posto la porta».

Molto spesso, soprattutto nei principali canali mediatici, si sente parlare di “resilienza”. Il termine, che originariamente appartiene all’ambito scientifico e, in particolare, fa riferimento alla capacità di resistenza dei materiali agli stimoli, oggi viene usato in senso traslato come capacità di reagire a eventi traumatici e difficili.

Probabilmente, però, nel caso della reazione degli abitanti delle zone alluvionate, si può parlare di una reazione resiliente e non a sproposito. «Pur essendo una parola che va tanto di moda ultimamente, in questo contesto viene usata in modo più che appropriato», afferma Mariniello. «In alcuni degli scatti che ho realizzato, possiamo vedere queste persone non “ridere” ma “sorridere”, che sono due cose diverse; inoltre, reduce da tutti questi mesi in cui si è tanto parlato di “resilienza” e di “spirito romagnolo”, ho voluto realizzarne un ritratto, di modo che tutti potessero vedere concretamente di che cosa si stesse parlando. Gli abitanti delle zone alluvionate, pur ritrovandosi con il fango fino alle ginocchia, nel momento in cui vedevano la macchina fotografica, sorridevano, questa cosa mi ha molto colpita».

Nei giorni che hanno sconvolto la regione e la popolazione dell’Emilia-Romagna non era difficile imbattersi in video, foto e testimonianze accessibili tramite i social media, comodamente dal divano delle nostre case. In un mondo che viaggia alla velocità della luce, soprattutto grazie ai social network, ci si può legittimamente chiedere quale sia la funzione di continuare a svolgere un reportage alla vecchia maniera: andando sul campo e osservando da vicino le situazioni che si intende documentare.

A tal proposito, Rosa Mariniello sostiene: «Sicuramente il punto di vista autoriale è diverso già dal semplice reportage: un conto è scattare una foto da pubblicare su un giornale e un conto è far notare delle cose ben precise, al di là della foto, come ho voluto fare in questo progetto. Anche se tutti ci troviamo davanti a uno stesso evento, non tutti scattiamo le stesse fotografie. Il reportage, poi, si compone di tutta una serie di elementi che, in qualche modo, lo rendono imprevedibile: la presenza umana stessa finisce per costruire foto molto spontanee e sorte quasi da sole».

Non sono soltanto le persone coinvolte e i tecnici accorsi per aiutare e dare una mano concreta a figurare nelle immagini esposte, ma anche foto e dettagli di oggetti accatastati e rovinati dal fango e dalla pioggia: «Ho voluto mettere il punto su alcuni dettagli proprio per scuotere un po’, ho cercato di decontestualizzare anche l’alluvione in alcuni scatti. Più di una persona mi ha fatto notare come i bicchieri non sembrino sporchi di fango, ma assomiglino più a dei reperti archeologici; ho voluto fotografarli così per trasmettere la sensazione che le vite di ognuno di noi possano essere stravolte in un attimo e diventare improvvisamente un’altra epoca».

Le immagini allestite non sono accompagnate da ulteriori didascalie o spiegazioni. La scelta di non fornire ulteriori informazioni, al di là di quello che l’immagine vuole rappresentare, non è una scelta minimalista, ma ben precisa e motivata dalla fotografa: «Nell’allestimento abbiamo voluto lasciare le quinte pulite, volevamo che la gente si impegnasse a guardare la foto. Ho scattato foto per documentare la situazione dell’Emilia-Romagna, ma diciamoci la verità: in Italia negli ultimi anni si sono susseguiti un disastro ambientale dopo l’altro. Quella dell’alluvione ha costituito sicuramente un’occasione molto importante e drammatica per testimoniare queste calamità, però, in realtà, in giro per la Penisola si stanno verificando eventi naturali troppo simili tra di loro. Purtroppo ci stiamo abituando a questo genere di notizie e ho insistito nel realizzare questo progetto per poter colpire l’osservatore con l’immagine: non dobbiamo abituarci a queste immagini, non bisogna limitarsi a leggere quello che vogliono dire ma dobbiamo sconvolgerci e pensare a come agire d’ora in poi».

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