Culture

Il cemento del Ventennio sulle coste italiane

Sono 132 le ex colonie marine ancora presenti sui nostri litorali. Per decenni mete di villeggiatura dei figli dei lavoratori, alcune sono state riqualificate ma molte versano in stato di abbandono
Le colonie estive abbandonate della Riviera Romagnola
Le colonie estive abbandonate della Riviera Romagnola Credit: Marco Paganini
Tempo di lettura 4 min lettura
3 settembre 2023 Aggiornato alle 15:00

Riccione, estate 1937. La colonia marina Bertazzoni della federazione fascista di Milano ospita 850 bambini in vacanza.

Durante il regime queste strutture si moltiplicarono sulle spiagge italiane e spesso finanziate dai grandi gruppi industriali, accolsero migliaia di figli di operai e dipendenti pubblici durante l’estate.

Formidabili strumenti di propaganda – un’“oasi di benessere e di letizia per centinaia di figli del popolo lavoratore”, le definisce un cinegiornale dell’epoca - con l’entrata dell’Italia in guerra molte vennero riconvertite in ospedali militari ma tramontato il Ventennio riaccolsero bambini in vacanza nei primi anni del turismo di massa, per poi essere abbandonate definitivamente con l’ascesa della case di villeggiatura familiari.

Oggi questi edifici spiccano ancora su molte coste italiane, suscitando emozioni a metà strada tra il fascino dello “stile regime” e l’ecomostruosità.

L’ultimo rapporto di Legambiente ha fatto un primo censimento delle ex colonie marine: 132 quelle individuate, di cui 48 parzialmente o totalmente abbandonate, 34 demolite e 33 riconvertite in appartamenti, strutture ricettive e alberghi. La riviera adriatica ospita il maggior numero di ex colonie di epoca fascista, concentrate sulle spiagge di Rimini e Riccione.

Alcune di queste strutture hanno recuperato la loro vocazione vacanziera. È il caso della Bolognese Decima Legio, in stato di abbandono dal 1977 ma 2022 comprata all’asta per 5 milioni di euro da un imprenditore del settore alberghiero nel 2022. Anche la colonia Fara di Chiavari, in Liguria, qualche anno fa definita un ecomostro, nel 2014 è stata acquistata da privati, e ora ospita appartamenti di lusso e un hotel.

Il modello proposto per il riuso delle ex colonie prevede meno spazio per il mare e la natura a vantaggio dell’edificazione. La ristrutturazione, infatti, spesso sacrifica le grandi aree verdi che le circondano, per dar vita a nuove costruzioni funzionali alle strutture ricettive.

Una minoranza di questi fabbricati ospita oggi edifici pubblici. Tra questi, l’ex istituto marino Dux, di lido di Jesolo, che ora è un ospedale. Quella che fu la colonia Alessandro Mussolini di Miramare di Rimini è invece diventata una scuola, mentre dove prima c’era la Francesco Baracca di Cesenatico sorge un istituto tecnico commerciale.

Troppi tuttavia restano i casi di abbandono e degrado, come la colonia Novarese di Rimini. Il casermone in stile razionalista che sfiora i 3.000 metri quadrati chiusa definitivamente nel 1975, nel 2003 è stata acquistata dal Comune e affidata a un’azienda per farne un polo benessere che al momento però non è ancora stato realizzato.

Grazie ai fondi del Pnrr le cose potrebbero in parte cambiare. La Vittorio Emanuele di Ostia, stando all’annuncio dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri, con un investimento previsto di 4,5 milioni di euro verrà parzialmente recuperata per farne un ostello della gioventù 2.0.

Questo intervento però è solo uno dei tanti che sarebbero necessari, perché a ridosso delle spiagge un tripudio di vetro e cemento armato attende di armonizzarsi con un paesaggio costiero già compromesso dagli eventi meteo estremi e dal consumo di suolo.

Secondo Legambiente per contenere l’ormai eccessivo volume di costruzioni sui litorali italiani, è prioritario il recupero edilizio virtuoso e la demolizione dove possibile, per restituire porzioni di costa alla collettività e al mare.

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