Ambiente

Haiti: storia di una crisi lunga oltre un decennio

Il Paese, esposto a fenomeni climatici estremi, sta (ri)affrontando il colera. L’accesso ad assistenza sanitaria e ai servizi essenziali è compromessa da instabilità politica ed economica e dalla violenza dei gruppi armati
Credit: EPA/Orlando Barría
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17 agosto 2023 Aggiornato alle 07:00

All’inizio di giugno la zona di Léogâne, nel dipartimento dell’Ovest, è stata una delle più colpite dalle forti piogge e dalle inondazioni.

Le notizie riportate da alcuni giornali italiani che citavano i dati diffusi dalla protezione civile di Haiti parlavano di almeno 42 persone morte e di circa 13.300 sfollate.

Nello stesso dipartimento si trova anche il grande slum di Cité Soleil, dove secondo alcune stime vivono tra le 200.000 e le 400.000 persone in condizioni di povertà estrema. Haiti è uno dei Paesi più poveri al mondo ed è spesso esposto ai fenomeni climatici estremi e ai terremoti che peggiorano la situazione umanitaria già molto grave.

Il 14 agosto 2021 la zona sud-occidentale del Paese è stata colpita da un terremoto di magnitudo 7.2 che ha causato la morte di circa 2.500 persone.

Pochi giorni dopo, le stesse zone sono state interessate dal passaggio della tempesta tropicale “Grace” che ha causato il rallentamento delle operazioni di soccorso, aggravato i danni alle abitazioni e agli edifici e aumentato il numero di vittime e feriti.

Il terremoto del 2021 è stato più potente di quello che il 12 gennaio 2010 colpì la zona dove si trova la capitale del Paese, Port-au-Prince, ma a differenza di quest’ultimo l’epicentro si è registrato in una zona meno popolata. Secondo alcune stime il terremoto del 2010 ha provocato la morte di più di 200mila persone.

A Léogâne si trova il Centre d’Eveil et Apprentissage di Léogâne (Ceal), una scuola per ragazze e ragazzi con bisogni speciali sostenuta dall’associazione Ponte.

Alessia Maso, vicepresidente dell’associazione, ha spiegato a La Svolta che «i danni alla comunità del Ceal riguardano numerose famiglie la cui casa e beni materiali sono stati distrutti dalle inondazioni».

Fortunatamente è stato possibile riparare la maggior parte di questi danni, ha detto Maso, ma molte famiglie sono ancora in difficoltà soprattutto a causa dell’elevato costo della vita: «In generale non si trovano tutti i beni di prima necessità e in ogni caso questi sono molto cari. Inoltre, i collegamenti tra la capitale e Léogâne non sono percorribili a causa dell’insicurezza delle strade, ancora in mano alle bande armate. Le persone spesso non possono neanche andare a rinnovare i documenti a Port-au-Prince e non hanno la possibilità di accedere al commercio e di sostenere le proprie famiglie».

Quest’anno il Ceal è stato costretto a chiudere per alcuni periodi, sia a causa dell’alluvione sia a causa del rischio determinato dalla presenza dei gruppi armati.

«Essendo una scuola che ha un piano individualizzato per ogni allievo i programmi non portati a termine non sono un vero problema perché ognuno effettua il percorso scolastico secondo il proprio ritmo, ma sicuramente il diritto allo studio è stato garantito solo in parte. Questo non stupisce in uno Stato in cui non c’è un parlamento eletto, con questo livello di instabilità politica. Il Ceal ha uno staff motivato e preparato che segue i ragazzi e le ragazze anche a distanza quando non è possibile raggiungere la scuola, e che entra in contatto diretto anche con le famiglie degli studenti. Il nostro lavoro prosegue sempre a gonfie vele, nonostante il vento avverso», conclude Maso.

A giugno di quest’anno, a seguito di una missione condotta insieme ai vertici dell’Unicef, la direttrice esecutiva del World Food Programme (Wfp), Cindy McCain, ha detto che sarebbero 4,9 milioni gli haitiani «che lottano per mangiare ogni giorno».

Secondo la direttrice generale dell’Unicef, Catherine Russell, le emergenze umanitarie «sono oggi persino maggiori che dopo il devastante terremoto del 2010, ma con molte meno risorse per rispondere».

Complessivamente, 5,2 milioni di persone necessitano di un sostegno umanitario urgente, tra cui quasi 3 milioni di bambini: si prevede che quest’anno oltre 115.000 bambini sotto i cinque anni soffriranno di malnutrizione potenzialmente letale, con un aumento del 30% rispetto all’anno scorso.

Il colera, il coronavirus e i due terremoti

All’inizio di ottobre del 2022 il governo di Haiti ha annunciato la morte di circa 8 persone a causa del colera: si trattava dei primi casi di persone morte a causa della malattia negli ultimi 3 anni.

A dicembre il Ministero della Salute italiano ha pubblicato un comunicato in cui si legge che «tra il 2 ottobre e il 6 dicembre 2022 il Ministero della Sanità pubblica e della popolazione di Haiti ha segnalato un totale cumulativo di 13.672 casi sospetti di colera, inclusi 283 decessi».

A seguito del diffondersi della malattia Medici senza frontiere ha allestito 6 centri per il trattamento del colera per un totale di 389 posti letto, ma l’organizzazione stessa ha reso noto che l’accesso alle cure e il funzionamento stesso delle strutture sanitarie è limitato a causa della mancanza di carburante e dell’azione dei gruppi armati.

A marzo di quest’anno, per garantire la sicurezza dei pazienti, è stata costretta a chiudere temporaneamente l’ospedale nell’area di Cité Soleil a causa degli scontri tra alcune bande armate e all’inizio di luglio circa 20 uomini armati hanno fatto irruzione nell’ospedale di Tabarre, a Port-au-Prince, per prelevare un paziente con ferite da arma da fuoco che si trovava ancora in sala operatoria.

L’ultima grave epidemia di colera interessò il Paese a partire dagli ultimi mesi del 2010 e provocò la morte di oltre 10.00 persone.

La responsabilità della diffusione della malattia sarebbe da attribuire alla presenza, in quel periodo, degli operatori nepalesi impegnati nell’intervento umanitario pianificato dall’Onu a seguito del terremoto. Le acque di scarico di un accampamento nepalese defluivano in un fiume poco distante, contaminando le acque. I primi haitiani a contrarre la malattia furono, molto probabilmente, quelli che avevano utilizzato l’acqua del fiume per lavarsi o dissetarsi.

L’allora Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ammise la responsabilità dell’organizzazione nella diffusione del colera ad Haiti soltanto nel 2016, a ridosso della fine del proprio mandato e dopo aver negato per anni ogni accusa di responsabilità.

Il terremoto del 2021 ha coinciso invece con l’impegno del Paese nel contrastare la diffusione del coronavirus. Le prime 500.000 dosi di vaccino sono arrivate ad Haiti solo a luglio, un mese prima del terremoto.

Fino a quel momento, Haiti era l’unico Paese dell’America centrale a non aver ancora ricevuto nessuna dose di vaccino: questo grave ritardo nella consegna dei vaccini e le difficoltà sorte in seguito al terremoto hanno rallentato l’inizio di una campagna vaccinale che presentava già numerose criticità, tra cui l’assenza di infrastrutture e di mezzi adeguati per il trasporto e la conservazione dei vaccini.

La violenza dei gruppi armati e la crisi politica

Il 7 luglio del 2021 l’allora presidente di Haiti Jovenel Moïse è stato ucciso da un gruppo di uomini armati che avevano fatto irruzione nella residenza presidenziale.

Poche settimane dopo la morte di Moïse l’allora Primo Ministro Ariel Henry prese il suo posto alla guida del Paese, ruolo che ricopre tuttora.

Henry era stato nominato Primo Ministro dal Presidente il giorno prima che quest’ultimo venisse ucciso, ma non ha mai ottenuto la fiducia del Parlamento, che era stato sciolto da Moïse nel 2020. L’instabilità politica ha favorito il rafforzamento delle bande armate che controllano ormai molte zone del Paese, spesso entrando in conflitto l’una con l’altra, e il conseguente incremento delle violenze.

Roberto Codazzi, curatore del libro Haiti: il terremoto senza fine (People; 16,00 euro), ha spiegato a La Svolta che per queste ragioni «la situazione politica ad Haiti è degenerata, non essendoci un Parlamento eletto da anni e più in generale nessuna carica eletta democraticamente. A novembre del 2021 erano previste nuove elezioni politiche, ma sono state annullate e mai riprogrammate».

«C’è una situazione di stallo completa. Le opposizioni chiedono ormai da diversi anni che venga creato un governo di transizione che possa restare in carica due anni e guidare il ritorno a un regime elettorale democratico. Dal punto di vista della gestione del territorio questo Governo ha perso completamente il controllo del Paese, percorso da bande armate più o meno grandi che hanno il controllo completo di alcune zone del Paese e delle principali vie di comunicazione. Questi gruppi si finanziano con azioni di criminalità, come i rapimenti e le richieste di riscatto, ma sono collegati anche con i centri del narcotraffico. Intorno a settembre del 2022 una delle bande ha preso anche il controllo del principale scalo portuale dove è possibile importare carburante, lasciando il Paese sprovvisto per diverse settimane», continua Codazzi.

A ottobre del 2022 ci sono state violente proteste contro il governo di Henry, con i manifestanti che chiedevano le sue dimissioni: i motivi che hanno spinto la popolazione a ribellarsi sono la mancanza di beni di prima necessità, l’aumento dei prezzi degli stessi e nel caso specifico l’annuncio del Governo di porre fine ai sussidi sui carburanti. La questione del carburante è da sempre cruciale ad Haiti perché le case e gli ospedali utilizzano principalmente generatori di corrente alimentati a carburante.

«In questa situazione le donazioni internazionali e gli aiuti umanitari languono. Rispetto alle richieste di finanziamento della Fao e delle Nazioni Uniti siamo a meno del 30% del fabbisogno e questo ha portato le Nazioni Uniti a ridurre i programmi di contrasto alla povertà estrema e alla fame in un momento estremamente difficile per l’economia del Paese. Ci sono Paesi come la vicina Repubblica Dominicana, dove molti haitiani decidono di emigrare, e come il Costa Rica che provano a farsi carico di alcuni problemi dei cittadini haitiani, ma per il resto c’è un disinteresse da parte della comunità internazionale, vengono presi degli impegni che non vengono poi rispettati anche perché viene data priorità ad altre crisi», conclude Codazzi.

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