Ambiente

Artico: così la Russia inquina (sempre più) il Mare di Barents

Tra test militari e aumento del traffico navale, Mosca sta contaminando una zona ricca di biodiversità. E finita già sotto osservazione per il riscaldamento globale
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31 luglio 2023 Aggiornato alle 10:00

Gli occhi del mondo sono puntati sul fronte ucraino da ormai un anno e mezzo, ma la Russia sta attirando l’attenzione dei media anche per altre manovre più sottili e non meno impattanti (soprattutto per l’ambiente) molto più a Nord. Precisamente nel Mare di Barents, a Severomorsk, sede della base della flotta settentrionale della marina russa e di tutte le sue attività militari nell’Artico.

Come riporta una nuova inchiesta del Guardian, Mosca ha costruito 475 siti militari lungo il suo confine settentrionale negli ultimi 6 anni. “La penisola di Kola e gli arcipelaghi del Mare di Barents hanno visto dozzine di nuove piste di atterraggio, bunker e basi”, scrive il quotidiano inglese. “Ma le acque profonde di questa zona sono tra le più ricche di biodiversità della regione artica: ospitano pulcinelle di mare, delfini, foche e rare balene prua, oltre a essere sede di alcune delle più grandi popolazioni ittiche del mondo”.

Tero Mustonen, un ambientalista dell’organizzazione scientifica Snowchange Cooperative intervistato dal quotidiano inglese, racconta che «ci sono ancora villaggi senza sistemi stradali, dove stanno mantenendo uno stile di vita unico e tradizionale» che rischia di scomparire per sempre a causa dell’incremento dei test bellici e del traffico di navi, dai rompighiaccio ai sottomarini a propulsione nucleare.

Non solo: secondo l’inchiesta, “la Russia intende anche espandersi commercialmente. Quando ad aprile le nazioni occidentali hanno sospeso la loro partecipazione al Forum della Guardia Costiera Artica, Putin ha firmato un accordo di cooperazione con la Cina per condurre esercitazioni combinate per sorvegliare la sua costa settentrionale”.

Tuttavia, la rotta commerciale settentrionale non è molto affidabile, soprattutto per la difficoltà di navigare sul ghiaccio marino. «La grande preoccupazione è che l’inquinamento delle petroliere che non sono attrezzate per l’ambiente aumenterà notevolmente», ha dichiarato Nero Mustonen.

Come evidenziato da uno studio pubblicato nel 2022 su Nature, il Mare di Barents è già una delle zone dell’artico più a rischio di cambiamenti climatici estremi: ogni 10 anni la sua temperatura aumenta di 2,7 gradi centigradi, con picchi di 4 gradi nei mesi autunnali.

«Ci aspettavamo un forte riscaldamento, ma non a questo livello», ha dichiarato Ketil Isaksen del Norwegian Meteorological Institute di Oslo e coordinatore dello studio. «Si tratta dei più alti livelli di riscaldamento finora osservati da ogni punto della Terra».

La ricerca ha confrontato le temperature degli ultimi 40 anni, dal 1981 al 2020, e ha rilevato che questa regione si riscalda 2,5 volte di più della media dell’Artico. Ci si aspetta quindi che entro la fine di questo secolo rimanga a “secco”.

Forse anche in quest’ottica la Russia sta conducendo nuove esplorazioni nelle miniere a cielo della penisola di Kola, “per garantire forniture domestiche di minerali come il litio che sono cruciali per la produzione di batterie per veicoli elettrici”, scrive il Guardian.

La brama di nuove terre rare si estende anche alle riserve naturali come la regione del lago Seydozero, un sito sacro per il popolo Sami, senza l’osservanza del diritto internazionale e del coordinamento con i popoli indigeni, denunciano gli attivisti locali.

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