Economia

Rapporto Svimez: come sta il Mezzogiorno?

Per il 2023 si stima un aumento del Pil dello 0,9%, che grazie agli aiuti (completi) del Pnrr potrebbe arrivare a +1,4%. Cresce l’occupazione ma c’è molta precarietà: 1 lavoratore su 4 guadagna meno di 9€/h
Credit: Daniel J. Schwarz

Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) è un’associazione che si occupa della promozione dello studio delle condizioni economiche e sociali del Sud Italia. Ogni anno, dal 1974, viene pubblicato un rapporto che raccoglie i principali indicatori e gli andamenti dell’economia meridionale prendendo in considerazione diversi settori: industria, edilizia, terziario, infrastrutture e trasporti, politiche del lavoro e di coesione, demografia, mercato del lavoro e popolazione.

Il 17 luglio 2023, dunque, sono state pubblicate le anticipazioni del Rapporto Svimez 2023: tra gli argomenti principali su cui si è indagato troviamo il quadro macroeconomico, le previsioni per il triennio 2023-2025, il lavoro e quindi l’occupazione e i salari, la situazione dei giovani e il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).

Sfondo macroeconomico

Per cercare di capire come si evolverà la situazione dal 2023, è opportuno fare un passo indietro e capire se vi sono stati dei miglioramenti o meno. Secondo i dati pubblicati dalla Svimez, nel 2022 la crescita economica ha subìto un calo in Europa a causa di diversi fattori: la guerra in Ucraina, l’inflazione e la conseguente stretta monetaria attuata dalle banche centrali, e la crisi energetica.

Nonostante ciò, l’economia italiana ha mostrato resilienza ed ha registrato un tasso di crescita superiore – anche se di poco – alla media europea: 3,7% contro il 3,5%. Nord, Centro e Sud hanno tutte partecipato attivamente alla crescita italiana, anche se in maniera differente. Nel biennio 2021-2022 il Sud ha registrato una crescita del 10,7% contro una crescita dell’11% del Centro-Nord, collocandosi perfettamente in linea con gli standard del resto d’Italia.

Analizziamo, invece, i settori più sviluppati e che hanno contribuito maggiormente alla crescita del nostro Paese. Sempre secondo i dati Svimez, i settori che hanno dato una spinta maggiore in tutto il Paese sono quelli di informazione e comunicazione, anche se si registra un contributo maggiore nel Centro e nel Nord del Paese; nel Sud, invece, sono stati i settori pubblici e privati del terziario a spingere di più.

Inoltre, se nel Centro-Nord l’industria ha fornito un contributo maggiore, nel Mezzogiorno si registra un ottimo risultato da parte del settore delle costruzioni (19,2% contro il 12% delle regioni settentrionali e centrali).

Previsioni per il triennio 2023-2025

Le stime dell’Associazione Svimez ci forniscono una previsione di crescita italiana, nel 2023, dell’1,1%, con una crescita del Mezzogiorno che si avvicina molto a quella del Centro-Nord, in particolare 0,9% contro 1,2%. Si potrebbe, quindi, affermare che piano piano il divario territoriale, almeno dal punto di vista della crescita, si stia riducendo.

Valori simili si stimano anche per il 2024, con il Pil che dovrebbe crescere dell’1,4% e per il 2025 con una crescita pari all’1,2%. A rallentare la crescita saranno invece, sempre secondo le stime, i consumi delle famiglie del Sud Italia, per i quali si prevede una crescita dell’1,1% contro l’1,7% del Centro-Nord.

C’è, inoltre, un fattore fondamentale da considerare: le strette monetarie attuate dalla Bce (Banca centrale europea) per cercare di portare l’inflazione al 2%. Secondo il rapporto, le conseguenze più intense dell’inasprimento della politica monetaria si avranno nel Mezzogiorno, e potrebbe quindi aumentare la differenza di crescita tra le due zone della Penisola.

Lavoro e occupazione

Nel periodo successivo alla pandemia, il Mezzogiorno ha registrato una forte crescita occupazionale superando addirittura di 22.000 unità i livelli raggiunti nel 2019. Rimane, comunque, una forte carenza di posti di lavoro in tutto il territorio del Sud Italia.

Dando uno sguardo generale, notiamo che nel periodo compreso tra il primo trimestre del 2021 e il primo trimestre del 2023 l’occupazione nel Mezzogiorno è cresciuta del 7%, mentre nel Centro-Nord si è fermata al 6,1%.

Analizzando per settori, quello che ha dato un forte impulso all’occupazione è quello delle attività di alloggio e della ristorazione, bene anche il settore delle costruzioni mentre rimane un po’ più lento quello dell’industria. Situazione pressoché capovolta nel Centro-Nord, dove a dare l’impulso maggiore è stata proprio l’industria.

Il vero problema, però, è costituito dalla questione salariale. Partiamo da un presupposto: l’Italia è uno dei Paesi europei che presenta gli stipendi più bassi, senza contare che ha subìto la contrazione maggiore dei salari tra i Paesi appartenenti all’Ocse. I salari reali italiani, infatti, hanno registrato un calo del 7,5% contro una media Ocse del 2,2%.

A subire le conseguenze maggiori, ancora una volta, il Mezzogiorno che si colloca in una situazione svantaggiata in partenza. Il rapporto ha messo in luce le retribuzioni lorde nel periodo che va dal 2008 al 2019: qui, la situazione appare pressoché ferma al Centro-Nord e in calo al Sud. Nel 2022, invece, le retribuzioni lorde hanno subìto un calo di 3 punti dal 2008 nel Centro-Nord, e di 12 punti nel Mezzogiorno.

Per non parlare del lavoro povero: la Svimez ha fatto delle stime, secondo le quali circa 3 milioni di lavoratori guadagnano al di sotto dei 9 euro all’ora in Italia, pari al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti, circa 1 milione nel Mezzogiorno (pari al 25,1% degli occupati dipendenti) e circa 2 milioni nelle regioni del Centro-Nord (15,9% degli occupati dipendenti). Il che significa che, nel Sud Italia, 1 lavoratore su 4 guadagna meno di 9 euro all’ora.

C’è anche un’altra questione importante che affligge il Mezzogiorno, ma anche l’Italia in generale: il lavoro precario. Ovviamente, la situazione nel Sud Italia è accentuata: qui, il numero di occupati a termine sul totale dei dipendenti è pari al 22,9% contro il 14,7% del Centro-Nord.

Anche i tempi sono più lunghi, il 23% è un occupato a termine da più di 5 anni nel Sud, nel Centro-Nord la percentuale scende al 13,7%. Ma c’è anche un altro indicatore che fa riflettere: il part-time involontario. Nel Mezzogiorno il 75,1% dei lavoratori effettua un part-time involontario contro il 49,4% del Centro-Nord; la media europea è del 17,7%.

La situazione dei giovani laureati

La situazione per i giovani laureati è preoccupante e il fenomeno della “fuga di cervelli” non sembra volersi fermare. Nel 2020 è stato raggiunto, per adesso, il picco con il 56,6% di giovani laureati del Centro-Nord che migra verso l’estero, per il Sud la percentuale ha raggiunto il valore del 63,1%.

Le conseguenze, però, non sono le stesse. Il Centro-Nord può compensare questa “fuga” con le migrazioni interne, il Sud no. Inoltre, tra il 2001 e il 2021 circa 460.000 laureati si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, e di questi circa 130.000 erano laureati nelle discipline Stem (Science Technology Engineering Mathematics).

L’aiuto del Pnrr

Secondo il rapporto, il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) può essere un ottimo alleato per il rilancio del Sud Italia. Se, infatti, si prevede una crescita dello 0,9% per il 2023, con gli aiuti derivanti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, sfruttati in maniera efficace, si potrebbe arrivare a una crescita pari al +1,4%.

Successivamente, il contributo del Pnrr potrebbe essere fondamentale per tutte le zone del Paese, ma con maggiore intensità nel Mezzogiorno, fino a chiudere quasi completamente il divario di crescita che persiste tra Nord e Sud nel 2025.

Ma queste sono solo ipotesi e previsioni, la realtà è un’altra: alcuni settori presentano un divario territoriale non indifferente. È il caso degli asili nido e degli edifici scolastici, in particolare per quanto riguarda i servizi offerti e la mancanza di infrastrutture adeguate, provocando inevitabilmente conseguenze anche sulla formazione dei ragazzi.

Nel dettaglio, il rapporto ha analizzato 5 linee di intervento: il piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia; il piano di estensione del tempo pieno e mense; il piano per le infrastrutture per lo sport nelle scuole; il piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole; infine, la costruzione di nuove scuole mediante sostituzione di edifici.

Il problema è il seguente: i territori non sono risultati beneficiari di risorse proporzionali ai rispettivi fabbisogni di investimento quindi, a eccezione degli asili nido, a parità di risorse corrispondono livelli di fabbisogno fortemente eterogenei.

Un’altra criticità legata al Pnrr riguarda, infine, la capacità delle industrie, o comunque dei sistemi produttivi in generale, del Mezzogiorno di sfruttare al meglio lo stimolo di crescita e di valore aggiunto fornito dagli investimenti pubblici.

Secondo i dati forniti dal rapporto, per le opere pubbliche realizzate nel Sud, il 71% è stato affidato a sedi locali mentre il 29% a imprese del Centro-Nord, percentuali differenti per le opere pubbliche realizzate nelle regioni centrali e settentrionali: in questo caso, il 79% è stato affidato a imprese locali mentre il restante 21% alle imprese del Sud Italia.

Situazione più preoccupante per il settore Kis (Knowledge Intensive Services): il 41% degli appalti del Sud sono stati affidati a imprese del Centro-Nord, mentre soltanto l’8% degli appalti del Centro-Nord sono stati affidati a imprese del Mezzogiorno.

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