Ambiente

Atlante globale dei rifiuti elettronici: a cosa serve?

Si chiama Global Transboundary E-waste Flows Monitor ed è stato istituito dalle Nazioni Unite per contrastare l’inquinamento dei Raee. Il cui mancato recupero e riciclaggio sta contaminando il Pianeta
Credit: Smaltimentomaterialeelettronicomilano.it
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23 giugno 2023 Aggiornato alle 13:00

L’inquinamento causato dai rifiuti elettronici è destinato ad aumentare nei prossimi anni a livello globale, con le previsioni che stimano oltre 70 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti annualmente per l’anno 2030.

La pericolosità di questi dispositivi abbandonati nell’ambiente ha spinto numerosi enti governativi a monitorare i flussi, ma soprattutto The United Nations Institute for Training and Research (Unitar) a sviluppare il primo atlante mondiale di questo specifico settore, intitolato Global Transboundary E-waste Flows Monitor, che ha il compito di tracciare i prodotti elettronici e i loro flussi transfrontalieri.

Secondo la terza edizione del rapporto The Global E-Waste Monitor 2020 solo il 17,4% dei rifiuti elettronici è ufficialmente documentato, raccolto e riciclato secondo le procedure vigenti. La stragrande maggioranza dei prodotti non è soggetta ad alcun monitoraggio o a procedure legate all’economia circolare, con l’inevitabile dispersione nell’ambiente di materiali come ferro, rame, oro e altri importanti elementi per un valore stimato di 57 miliardi di dollari.

La maggior parte dei Raee proviene dalle zone più industrializzate del mondo, con una serie di flussi che si dirigono dal nord del pianeta verso il sud del mondo, nei Paesi in via di sviluppo o poveri, dove spesso vengono accumulati in discariche a cielo aperto o abbandonati nelle aree naturali, sia terrestri che marine. Nell’anno 2019 il maggior produttore di questo genere di rifiuti era il continente asiatico, con circa 24,9 milioni di tonnellate, seguito da quello americano (13,1 milioni di tonnellate) e dall’Europa (12 milioni di tonnellate). Nettamente inferiore l’impatto dell’Africa (2,9 Mt) e l’Oceania (0,7 Mt).

L’Europa vanta un primato sia negativo che positivo: ha il più alto livello pro-capite di produzione di materiale elettronico, pari a 16 kg a persona, ma allo stesso tempo vanta il maggior tasso di raccolta e riciclo che arriva al 42,5% del totale. I rifiuti che non vengono recuperati vanno ad alimentare i flussi del commercio internazionale che a livello globale è stimato intorno ai 5,1 milioni di tonnellate (quasi il 10% del totale).

Di questi solo una minoranza, pari a 1,8 milioni di tonnellate, segue le procedure concordate con regolari controlli, mentre le restanti 3,3 milioni di tonnellate sono scarsamente monitorate e spesso finiscono per essere soggette al traffico illegale verso quei Paesi dove le normative sono più deboli o quasi inesistenti. Fra il 2014 e il 2019 il numero di nazioni che hanno adottato una legislazione su questo settore sono incrementate da 61 a 78, ma continuano a persistere una serie di problemi nel monitoraggio e nei controlli da parte delle forze preposte.

Il mancato recupero e riciclaggio dei rifiuti elettronici continua a causare un grave impatto sull’ecosistema, con il rilascio di numerose sostanze tossiche, fra cui circa 50 tonnellate di mercurio che sono state rilevate in alcuni flussi illegali di rifiuti. I Raee sono considerati una delle più gravi minacce per l’ecosistema e per la salute umana, oltre a rappresentare un enorme spreco di Materie prime critiche importanti per il settore industriale-economico.

World Health Organization ha denunciato che a livello mondiale 12,9 milioni di donne e 18 milioni di bambini sono obbligati a lavori usuranti dove i rifiuti elettronici sono trattati in condizioni nocive, con i lavoratori che vengono esposti quotidianamente a sostanze chimiche tossiche senza alcuna precauzione per la loro salute.

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