Ambiente

Oceano Pacifico: scoperte 5.000 nuove specie (già in pericolo)

Nella Clarion-Clipperton Zone vivono esemplari marini la cui esistenza non è mai stata documentata. Ma sono minacciati da 17 aziende che vorrebbero mettere in atto operazioni di estrazione mineraria
Alcune degli esemplari scoperti nella Clarion-Clipperton Zone
Alcune degli esemplari scoperti nella Clarion-Clipperton Zone
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31 maggio 2023 Aggiornato alle 13:00

Negli abissi dell’Oceano Pacifico, a centinaia di miglia di profondità, si nascondono un tesoro prezioso per la transizione energetica e una ricchezza inestimabile di biodiversità marina di cui nessuno è stato a conoscenza finora.

Siamo nella Clarion-Clipperton Zone (Ccz), una vasta area del Pacifico situata tra la costa della California e le Hawaii e grande 2 volte l’India, finita nell’occhio del ciclone per essere un potenziale hotspot minerario: nei suoi fondali, infatti, si nascondono le più ricche aree di depositi di noduli polimetallici, che contengono manganese e altri metalli, come il cobalto, il rame e il nichel, fondamentali per la produzione di veicoli elettrici, batterie ed elementi chiave per il futuro di un’economia a basse emissioni di carbonio in ottica di transizione energetica.

Una notizia certamente straordinaria per i 17 appaltatori minerari interessati alla Ccz che già fanno pressione sull’International Seabed Authority (Isa), l’autorità che regola lo sfruttamento dei fondali oceanici e che, dopo attente valutazioni di rischi e pericoli, dovrà esprimersi a luglio circa la possibilità di concedere o meno il via libera a quello che è tecnicamente noto come deep sea mining o, più semplicemente, sfruttamento delle aree sottomarine per l’estrazione mineraria.

Ma in quella che sembra essere una corsa contro un tempo che sta per scadere, scienziati, biologi, ambientalisti e ricercatori provano a portare sui piatti della bilancia pro e contro dell’attività estrattiva: quelle che sono emerse finora sono prove che ci dicono che non conosciamo ancora cosa nascondono gli abissi dell’Oceano e non possiamo concederci il lusso di intaccare aree del Pianeta inesplorate e sconosciute per meri fini economici.

La prova più schiacciante è lo studio pubblicato sulla rivista Current Biology e condotto dal Natural History Museum di Londra, dalla University of York e dal National Oceanography Centre di Southampton, in cui vengono descritti i risultati del primo censimento delle specie viventi nella Clarion-Clipperton Zone.

Attraverso tecniche di campionamento molto sofisticate (come veicoli telecomandati o scatole di campionamento sottomarine create per raccogliere le specie dai fondali e portarle in superficie per essere studiate) i ricercatori dello studio How many metazoan species live in the world’s largest mineral exploration region? hanno rilevato la presenza di oltre 100.000 esemplari marini nella zona. Di questi, la maggior parte risultava già registrata e nominata a livello scientifico, mentre più di 5.000 esemplari risultavano totalmente ignoti.

Negli abissi del Pacifico, dunque, lì dove 17 aziende sono pronte a trivellare, a quanto pare vivono 5.572 specie la cui esistenza non è mai stata documentata prima e anche 6 esemplari (tra cui un cetriolo di mare, un nematode e una spugna carnivora) che sono stati avvistati anche altrove ma che, al momento, restano non scientificamente identificati.

«Ci sono specie straordinarie laggiù. Alcune spugne sembrano le classiche spugne da bagno, altre sembrano vasi. Sono semplicemente bellissime - ha rivelato Muriel Rabone, una degli autori dello studio - Una delle mie preferite sono le spugne di vetro. Hanno queste piccole spine e, al microscopio, sembrano piccoli lampadari o piccole sculture».

Uno degli animali scoperti è stato soprannominato lo “scoiattolo gommoso”, a causa della sua enorme coda e dell’aspetto gelatinoso, mentre un altro ha preso il nome di “polpo Casper” ed è un cefalopode dagli occhi piccoli, dalle braccia tozze e con un aspetto spettrale che lo rende simile al celebre fantasma dei cartoni animati. «È un ambiente sorprendentemente ad alta diversità» ha dichiarato Adrian G. Glover, uno dei co-autori dello studio.

È proprio l’enorme varietà di specie ed esemplari che popolano la Ccz, venute alla luce solo oggi, che spaventa gli appaltatori minerari e mette in guardia le autorità che avranno il compito e la responsabilità, tra poche settimane, di concedere il via libera al deep sea mining.

Da una parte, i sostenitori dell’estrazione mineraria marina sostengono che si tratti di un’attività che comporta meno compromessi etici rispetto all’estrazione terrestre perché nelle profondità dell’oceano non ci sono comunità indigene da trasferire, nessun lavoro minorile da sfruttare e nessuna foresta pluviale da radere al suolo. L’alternativa è sfruttare le risorse dell’Indonesia, principale paese produttore di nichel e ricca di foreste pluviali.

Dall’altra, gli scienziati e i ricercatori avvertono che «la prospettiva di attività di estrazione mineraria va messa in pausa almeno fino a quando non saranno state ottenute informazioni scientifiche solide e sufficienti». Avviare le attività significa sconvolgere ecosistemi e mettere in pericolo specie animali appena conosciute e di cui non sappiamo ancora nulla. Molte di loro trovano rifugio nei noduli stessi, altre in quell’ambiente così indisturbato e profondo hanno trovato l’habitat perfetto per la sopravvivenza.

«Si sa troppo poco su come l’estrazione mineraria possa danneggiare la pesca, rilasciare carbonio immagazzinato nel fondo marino o depositare pennacchi di sedimenti nell’acqua. I vecchi siti di test minerari sottomarini mostrano pochi segni di ripresa ecologica», hanno dichiarato oltre 700 scienziati di scienze marine e politiche.

Nonostante le rassicurazioni delle grandi industrie riguardo l’utilizzo di tecnologie sofisticate e di ultima generazione, capaci di garantire il minor sedimento possibile, l’attività estrattiva non potrà mai rivelarsi a impatto zero sugli ecosistemi. E finché si parlerà di minimizzazione dell’impatto globale, si dovrà considerare la prospettiva di un giorno zero e del suo punto di non ritorno.

Così, se tutto dovesse andare nel verso sbagliato e l’Isa dovesse concedere agli appaltatori la possibilità di iniziare le operazioni di estrazioni degli importanti minerali, la Metal Company prevede di iniziare i lavori entro la fine del 2024 o l’inizio del 2025.

Un tempo troppo vicino per assicurarsi la totale sicurezza degli ecosistemi oceanici e delle specie appena scoperte e che già sono in pericolo di estinzione.

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