Diritti

Ponte Morandi, Egle Possetti: «L’omertà e gli utili hanno provocato il crollo»

La portavoce del Comitato dei famigliari delle vittime commenta a La Svolta la rivelazione di Gianni Mion, ex amministratore delegato della holding dei Benetton: «Sapevo era a rischio. Non ho fatto nulla»
Credit: ANSA/LUCA ZENNARO
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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23 maggio 2023 Aggiornato alle 21:00

Era il 2010. Da lì a 8 anni il viadotto Polcevera, meglio noto come ponte Morandi, sarebbe crollato sui palazzi di Genova, portando con sé 43 persone. In una riunione con tutta la dirigenza «emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo», ha raccontato ai magistrati Gianni Mion, ex amministratore delegato della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi (Autostrade per l’Italia) e della sua ex controllante, Atlantia.

Lunedì 22 maggio, in aula a Genova per il processo, Mion ha ammesso che tutti sapevano e nessuno fece nulla. «Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e mi risposero “ce la autocertifichiamo”. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico».

A quasi 5 anni dal crollo della pila 9 (e dal cedimento del ponte Morandi) continuano a emergere nuovi dettagli su quanto fossero gravi le condizioni della struttura, in un processo che vede 59 imputati, tra ex vertici e tecnici di Autostrade e Spea (che si occupava di manutenzioni e ispezioni), dirigenti ed ex del ministero delle Infrastrutture e funzionari del Provveditorato. Egle Possetti, portavoce del Comitato Parenti delle Vittime del Ponte Morandi, commenta a La Svolta quanto emerso in Aula.

Qual è stata la sua reazione quando ha sentito queste dichiarazioni?

Ovviamente di sconcerto. Ma le devo dire che in questi ultimi mesi sono emerse, spesso, testimonianze che andavano in questa direzione: colloqui, interlocuzioni, rapporti in cui si segnalavano queste anomalie. Per cui è stata la conferma di molte altre testimonianze. È chiaro che come parenti non riusciamo a concepire che con una conoscenza della gravità della situazione non si sia fatto niente.

Continuano a emergere dettagli su quanto fossero gravi le condizioni del ponte e su come nessuno abbia detto né fatto niente a riguardo. Sembra una situazione già vista in Italia: tutti sanno, ma nessuno parla.

Tenga conto che in questi anni, in cui l’infrastruttura è stata data in mano a una concessionaria privata, non ci sono praticamente stati controlli efficaci da parte dello Stato. Questo era un bene pubblico, dato in concessione, su cui lo Stato avrebbe dovuto fare degli accertamenti per verificare che la situazione fosse adeguata. Ma non è successo. Infatti, all’interno del procedimento, ci sono dei funzionari dello Stato che sono imputati.

Che cosa li avrebbe spinti, secondo lei, a prendere simili decisioni?

Lo hanno fatto per omertà, per avere più utili, ma è accaduto anche per incompetenza tecnica di molte persone che hanno lavorato in supporto, e per incapacità di fare una valutazione adeguata della gravità. È una situazione che ha del paradossale. La cosa più importante è che nessuno potrà dire, dopo quello che è emerso in questi mesi e anni di processo, che il vizio fosse occulto. Perché questo ponte era costruito, come tutte le infrastrutture e le strutture, con dei difetti che magari all’inizio non si vedono, ma che poi sono emersi. Tant’è che le pile 10 e 11 erano state revisionate, erano state ripristinate in modo adeguato. Invece, per tantissimi anni, sulla pila che è crollata non si è fatto assolutamente nulla. Si è fatta una sorta di roulette russa con tutti quelli che passavano lì sopra. E purtroppo le nostre famiglie erano lì in quel momento, in quei pochi secondi. E questa è una cosa inaccettabile.

Perché le dichiarazioni di Mion arrivano solo ora, a quasi 5 anni dal crollo?

Come dicevo, c’è molta omertà intorno a queste vicende. In tutto questo tempo sono emerse tante cose, solo che chiaramente, all’inizio, alcune erano sotto il segreto istruttorio. Mion ha ammesso con i giornalisti di non averlo segnalato forse per paura di perdere il posto di lavoro. Al di là del fatto che nessuno può fare sconti a chi aveva l’autorità di fare, a chi dirigeva, a chi aveva il potere amministrativo decisionale, si tratta di una persona informata dei fatti che non si è mossa. Io non sarei mai riuscita a tenermi questa cosa, con una gravità di prospettiva come questa. Io l’avrei segnalato, avrei fatto il diavolo a quattro perché si facesse luce. Certo, forse poi avrei perso il posto di lavoro, ma magari ne avrei trovati altri 2. È una questione di senso civico, che in Italia non esiste.

Secondo lei, insieme agli elementi emersi in questi 5 anni, potrebbero essere punti decisivi per il processo?

Gli elementi che sono nell’impianto accusatorio sono enormi. Alcuni sono emersi adesso, altri dal lavoro della procura e degli inquirenti, e anche dal nostro, come parti civili, con il tecnico ingegnere Paolo Rugarli, con l’avvocato Raffaele Caruso, con l’avvocata Graziella Delfino. Ma è chiaro che in Italia gli esiti del processo li si vede solo alla fine. Si tratta di un processo molto complicato, burocratizzato, e che salvaguarda il diritto di difesa sacrosanto degli imputati. Ma noi dovremmo avere un processo più snello: non possiamo pensare che con un impianto accusatorio e con degli elementi così si possa correre il rischio della prescrizione. E per quanto tutti stiano lavorando a pieno ritmo a Genova, sia la procura che il tribunale, è chiaro che come si evolvono queste vicende che interessano colletti bianchi, in particolare in Italia, non sia certezza fino all’ultimo grado.

Dalle dichiarazioni di Mion è emerso anche l’uso di una “autocertificazione”, senza la quale, forse, ci sarebbero stati i controlli che avrebbero fatto emergere effettivamente i problemi della pila che è crollata.

Questo certamente era uno degli elementi che doveva essere sondato in concessione: io non posso dare un immobile in concessione che il concessionario si controlli da solo. Ci arriverebbe anche un bambino. È come se io dicessi che salto, faccio il record del mondo e me lo certifico da sola. Non sta stanno né in cielo né in terra, immaginiamoci, poi, su beni che possono portare a dei pericoli gravissimi per la circolazione. Sembra quasi una barzelletta. Chi ha fatto la concessione stava dormendo, oppure non stava dormendo e l’ha fatto apposta a scrivere una concessione che prevedeva anche il fatto di dover rimborsare se si fosse deciso di fare una revoca anche in caso di colpa grave. Nessuno scriverebbe un contratto del genere neanche per comprare una bicicletta. Quando racconti questa cosa la gente non ci crede, sembra una presa in giro, è così assurdo da essere incredibile anche se fossimo in un film.

Che cosa vi spinge a non arrendervi e continuare a cercare appunto, verità, giustizia?

Prima di tutto il rispetto delle nostre famiglie, perché noi lo dobbiamo a loro, per quello che gli è accaduto. Questo ci spinge a fare tutto il possibile, con tutte le nostre forze, per riuscire ad arrivare a giustizia. Poi, anche il senso civico, che purtroppo in Italia spesso è scarso.

Noi speriamo che si arrivi a una verità, a delle condanne, e che forse, in futuro, qualcuno abbia qualche remora in più a comportarsi in questo modo. È un sistema marcio che c’è nel nostro Paese, perché dopo questa situazione sono partiti i cantieri in tutta Italia, perché evidentemente c’erano dei problemi su molta parte della rete stradale. Ma si lavora senza pensare minimamente a gestire le società in modo equo, in modo corretto. È chiaro che un investitore privato non fa beneficenza, deve avere degli utili, ma degli utili equi. Quelli di questa ditta erano nettamente superiori alle ditte europee che fanno il medesimo mestiere: nessuno si è mai interrogato sul perché? Anche gli azionisti hanno incassato utili miliardari, non si sono mai interrogati sul perché questa cosa rendeva così tanto? Ci son tante domande che le persone dovrebbero porsi, dovrebbero stare attente. Noi cerchiamo, come cittadini e come parenti delle vittime, di fare tutto quanto ci è possibile.

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