Futuro

La creatività dell’intelligenza artificiale

La musica generata automaticamente è ormai realtà. E compete con quella prodotta dagli umani. Boomy dichiara di avere realizzato 14 milioni di canzoni. E Spotify ne ha eliminate decine di migliaia dalla sua piattaforma
Credit: Mike Hindle
Tempo di lettura 5 min lettura
11 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

In principio era il ritmo. Non solo perché le forme tradizionali di trasmissione di informazione a distanza si sono fondate sul ritmo, come mostrano gli studi di James Gleick sul linguaggio dei tamburi africani (L’informazione, Feltrinelli 2011). E non solo perché i rituali musicali hanno contribuito in modo fondamentale alla costruzione di comunità un po’ in tutto il mondo. Ma anche perché la musica offre spesso un contributo decisivo alla creazione di condizioni favorevoli per l’innovazione: è una delle forme di comunicazione che meglio sconfinano dai limiti linguistici e più attentamente esplorano le strutture culturali. E anche per questo nelle grandi trasformazioni la musica ha un ruolo enorme.

Persino nel mondo contemporaneo. Per chiunque veda che il tempo attuale è attraversato da fenomeni che meritano l’attenzione che si riserva ai profondi cambiamenti storici, la musica appare come un motore di mutazioni culturali senza paragoni. Nel contesto digitale lo è in maniera particolarmente evidente. Oggi siamo di fronte alla musica generata dall’intelligenza artificiale. Ma è l’ultima tappa di una serie di novità che si sono susseguite nel corso degli ultimi trent’anni.

Mentre la produzione artistica si basava sempre più pesantemente su strumenti digitali, anche allo scopo di produrre cd in formato digitale purissimo, e mentre l’industria musicale si concentrava su quattro grandissime major mondiali che lasciavano solo il 20% del mercato globale a tutte le altre etichette, in effetti, l’internet ingenua degli anni Novanta si è trovata a sperimentare la prima grande disruptive innovation dell’era digitale.

Si trattava di un’innovazione che per l’industria musicale era il più fulgido esempio di distruzione creativa. Nessun’altra industria aveva sperimentato una simile ondata di novità dirompenti.

Stabilito lo standard mp3 per comprimere i brani musicali e trasmetterli facilmente sulla banda scarsa dell’internet di allora, i ragazzi di tutto il mondo hanno cominciato a trasferire sulla rete la loro pratica abituale di scambiarsi musicassette. E alcune startup tecnologiche hanno creato piattaforme per facilitare lo scambio di file, che si sono rivelate perfettamente adatte a favorire anche lo scambio di mp3.

Ci guadagnava la musica e il suo pubblico: ci perdevano però tutti i detentori di copyright. L’industria musicale ha vacillato. Ha cominciato a fare causa ai suoi stessi fan.

Gli artisti hanno cominciato a concentrarsi sui concerti dove la loro presenza fisica non si poteva replicare digitalmente. Un intero sistema industriale sembrava sul punto di fallire, tentando si salvarsi soltanto sulla base di cause legali e interventi della polizia.

Poi è intervenuta un’innovazione capace di fare sintesi: il sistema iTunes - iPod rese facilissimo comprare e usare legalmente mp3 a costo contenuto e senza l’obbligo di comprare interi album per ascoltare una sola canzone. Con l’aumento della banda di connessione, la nascita degli smartphone e il lancio dei servizi in streaming, con l’ausilio di nuovi sistemi per tenere sotto controllo e valorizzare l’uso della musica in tutte le possibili utilizzazioni sulle piattaforme digitali, l’industria musicale ha ritrovato il suo equilibrio economico, anche se gli artisti hanno dovuto accettare il fatto che i primi 15 secondi delle loro canzoni sono quelli che decidono se il pubblico le apprezza e le sente fino in fondo o se le abbandona.

La distribuzione dei proventi della musica è molto collegata alla numerosità degli ascolti di ogni singolo brano e dunque alle logiche del funzionamento delle piattaforme di streaming.

Ebbene. Ancora una volta la musica è il primo ecosistema che avverte concretamente l’impatto della nuova tecnologia: l’intelligenza artificiale è usata per produrre musica e aiuta una grande quantità di nuovi compositori a realizzare opere di tutto rispetto tecnico, che vengono caricate sulle piattaforme di streaming per competere con la musica prodotta dagli artisti professionali.

La piattaforma Boomy, nata alla fine del 2018, in cinque anni ha prodotto 14 milioni di canzoni, il 14% della musica registrata, secondo l’azienda stessa.

Il modello è semplice. Chiunque può scegliere il genere, il ritmo, gli strumenti, abbozzare una melodia, aggiungere qualche nota vocale, far nascere una bozza di canzone e poi affinarla, usando l’intelligenza artificiale per arrivare al prodotto finale, tecnicamente ben fatto.

Successivamente, Boomy aiuta i neoautori a mettere la loro canzone sulle piattaforme di streaming e a raccogliere gli eventuali proventi: tratterrà il 20% e darà ai creatori l’80%, mantenendo il copyright ma concedendo la licenza di usarlo per quasi tutti gli scopi commerciali (i dettagli sono nei termini d’uso).

Che cosa significa tutto questo? Dove porta l’industria? Questa volta gli utenti fanno concorrenza all’industria non “piratando” la musica già registrata, ma creandone di nuova. Spotify ha dovuto due giorni fa eliminare decine di migliaia di canzoni di Boomy per contenere sospette truffe.

Ma è solo l’inizio di un confronto che non sarà semplice dipanare.

Una delle idee che circolano è quella di obbligare ogni prodotto “creativo” dell’intelligenza artificiale a dichiarare in che modo è stato fatto e con quale tecnologia.

Questo consentirebbe al pubblico di valutare consapevolmente il valore artistico delle opere.

Ma siamo di fronte all’inizio di una nuova fase innovativa, dirompente e disorientante. E la musica è sempre il punto nel quale tutto comincia.

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