Ambiente

Cina: nel 2023 utilizzato più carbone che in tutto il 2021

Pechino torna a puntare sul fossile per il suo fabbisogno energetico. Secondo Greenpeace, da gennaio a marzo di quest’anno sono stati approvati almeno 20,45 gigawatt. 2 anni fa erano 18
Credit: AP
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26 aprile 2023 Aggiornato alle 10:20

Quasi un terzo delle emissioni climalteranti globali sono prodotte da un solo Paese: la Cina. La potenza economica mondiale, a livello di CO2 emessa, da sola inquina quanto Stati Uniti, Europa e India. Ecco perché, nonostante a livello pro-capite non risulti fra le nazioni più impattanti, è la Nazione su cui bisognerebbe puntare l’attenzione: il taglio delle emissioni è ormai cruciale per tentare di arginare il surriscaldamento globale.

Se da una parte la spinta “green” della Cina, oggi maggiormente impegnata sull’uso delle rinnovabili (ma anche sul nucleare), fa sperare a un graduale cambiamento del Paese, dall’altra in questo inizio 2023 preoccupa la ripresa del carbone, combustibile fossile da cui lo stato asiatico è ancora fortemente dipendente.

Nonostante impegni di emissioni zero, i Governi locali cinesi hanno approvato una quantità maggiore di energia da carbone nei primi 3 mesi dell’anno che in tutto il 2021. Secondo Greenpeace, che ha analizzato diversi documenti e resoconti relativi alle autorizzazioni cinesi, da gennaio a marzo sono stati approvati almeno 20,45 gigawatt di energia a carbone rispetto, a esempio, agli 8,63 GW dei primi 3 mesi del 2022 o, addirittura, rispetto all’intero 2021, in cui furono autorizzati 18 GW provenienti dal combustibile fossile.

La Cina, quindi, sembra voler continuare a puntare sul fossile: una decisione che non sembra affatto coincidere con i piani annunciati 3 anni fa da Xi Jinping, presidente cinese che promise che il suo Paese sarebbe diventato carbon neutral entro il 2060.

Oggi, però, riemerso dal durissimo periodo legato alla pandemia da Covid-19, Pechino si è risvegliato nuovamente dipendente dal carbone, con un numero di autorizzazioni in costante crescita: il combustibile fossile rappresenta circa il 50% delle fonti per i consumi energetici.

La giustificazione del maggior uso di carbone sembra essere inoltre ancorata a quanto accaduto in Ucraina e al contesto geopolitico globale ma, secondo Greenpeace, si tratta solo di una scusa: si potrebbe soddisfare il crescente fabbisogno energetico cinese se si puntasse di più sulla “rete” delle rinnovabili e soprattutto sullo stoccaggio che serve.

Oggi, ricorda il Guardian citando un report del Center for Research on Energy and Clean Air, in Cina “le tecnologie per lo stoccaggio di energia pulita non sono ancora abbastanza mature per essere implementate alla scala considerata essenziale” per poter dipendere prevalentemente da rinnovabili.

C’è poi la necessità riequilibrare in maniera più flessibili le reti dato che oltre il 75% delle fonti energetiche, dal carbone fino alle rinnovabili, si trova nella parte ovest del Paese ma oltre il 70% dei consumi energetici avviene nella zona centrale e orientale. Dunque, i responsabili politici devono trovare una soluzione per riequilibrare in modo efficiente il problema.

Ovviamente gli attivisti sperano che venga risolto abbandonando parallelamente il carbone e puntando sulle rinnovabili che, tra il 2010 e il 2021, a livello di produzione di energia sono aumentate a un tasso medio annuo del 19,2%, principalmente da eolico e solare.

Nel frattempo, però, come ha ribadito Xi nel 2022, il carbone rimarrà ancora a lungo come pilastro del mix energetico cinese e non verrà sostituito in tempi brevi: una scelta che influenzerà la salute globale della Terra e per cui tutti noi, per esempio per gli effetti della crisi climatica, fra qualche decina di anni probabilmente pagheremo un conto salato.

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