Diritti

Il Vaticano incontra Pietro Orlandi: «Niente sconti, dopo 40 anni»

Dopo il colloquio (durato più di 8 ore) con il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, il fratello di Emanuela ha spiegato di aver «verbalizzato tutto quello di cui ho parlato in questi giorni»
Pietro Orlandi
Pietro Orlandi Credit: Matteo Nardone/Pacific Press via ZUMA Press Wire
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12 aprile 2023 Aggiornato alle 11:00

Il caso di Emanuela Orlandi, 40 anni dopo la tragica sparizione della ragazza appena quindicenne, potrebbe essere a un punto di vera svolta.

Nel pomeriggio di ieri, martedì 11 aprile 2023, Pietro Orlandi, accompagnato dall’avvocata di famiglia Laura Sgrò, è stato ricevuto in Vaticano dal Promotore di Giustizia del piccolo Stato, Alessandro Diddi per una visita di oltre 8 ore, in cui sono stati affrontati temi nodali ed è stata finalmente depositata quella memoria che il fratello di Emanuela desiderava consegnare da tempo, essendo (come ha ripetuto più volte) in possesso di documenti e rivelazioni decisive per raggiungere la verità.

«Ho verbalizzato - ha dichiarato all’uscita del lunghissimo incontro - tutto quello di cui ho parlato in questi giorni: la famosa trattativa, i documenti sul trasferimento di Emanuela a Londra, la questione degli altissimi prelati che potrebbero essere legati alla questione della pedofilia, i famosi screenshot di cui ho sempre parlato (foto di chat di membri interni al Vaticano che parlavano del caso di Emanuela, rivelando particolari inediti, inviate a Pietro Orlandi, ndr), ho fatto i nomi delle persone collegate. Devo dire che ho trovato molta disponibilità a fare chiarezza, il fatto stesso che abbiano detto di aver ricevuto l’incarico da Papa Francesco e dal Segretario di Stato di fare chiarezza… indagare a 360 gradi e non fare sconti a nessuno, ovvero indagare dal più piccolo al più grande e se ci sono delle responsabilità anche in alto devono venire fuori».

Era stato proprio l’alto magistrato del Tribunale Vaticano, il 2 gennaio scorso, 2 giorni dopo la scomparsa di Benedetto XVI, a dare la notizia dell’apertura di una inchiesta sul caso di Emanuela, ovviamente su input di Papa Francesco. Era la prima in 40 anni.

«Apprendemmo la cosa attraverso la stampa – ha spiegato Pietro Orlandi a La Svolta, a marzo – poi ricevemmo una mail dalla segreteria di Diddi nella quale si spiegava che ci sarebbe stato un incontro quando si sarebbero concluse le indagini delegate». Evidentemente, in Vaticano si è deciso di accelerare i tempi e, prima di Pasqua, la notizia dell’attesissima convocazione è stata diffusa dalla Sala Stampa Vaticana: “L’Ufficio del Promotore di Giustizia conferma che martedì prossimo riceverà il fratello di Emanuela Orlandi…”.

L’incontro arriva in una fase molto delicata. La famiglia lamentava, non più di qualche settimana fa, la latitanza di notizie lato Vaticano dopo l’apertura dell’indagine, annunciata a inizio anno, e l’impossibilità di portare nuovi documenti di cui, per scelta di strategia, famigliari e legale hanno scelto di non parlare se non davanti a inquirenti (del Vaticano o dello Stato italiano) e previa assicurazione di verbalizzazione. Diddi, inoltre, non aveva mai risposto alle richieste inoltrate lo scorso anno dalla famiglia di un incontro per «fornire nuove prove di cui eravamo venuti in possesso – ha riferito nella stessa intervista a La Svolta il fratello della ragazza scomparsa il 22 giugno 1983 - e mettere a verbale nuove dichiarazioni».

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera (lunedì 10 aprile), Diddi è sembrato voler fugare ogni dubbio riguardo le sue reali intenzioni e, soprattutto, della Santa Sede, e sottolineare come si voglia fare ogni sforzo possibile per accertare una fetta quanto più consistente di verità: «Sul caso Orlandi, Papa Francesco e il Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, vogliono che emerga la verità senza riserve».

«Ci sono indubbiamente indagini da svolgere - ha aggiunto - e aspetti da approfondire, anche dando seguito alle istanze più volte formulate dalla famiglia Orlandi. Tuttavia, il profilo che più merita di essere sottolineato è che, sia il Santo Padre che il Cardinale Pietro Parolin, mi hanno concesso massima libertà d’azione per indagare ad ampio raggio senza condizionamenti di sorta e con il fermo invito a non tacere nulla. Ho il mandato di accertare qualunque aspetto in uno spirito di franchezza, di “parresia” evangelica e tale approccio è ciò che più conta».

Sono parole nette che aprono più di una speranza per la prima volta come lo stesso Pietro Orlandi è sembrato confermare all’arrivo, intorno alle 15:00 di martedì 11 aprile, in Vaticano: «Il grande giorno è arrivato – ha detto dalla macchina guidata dall’avvocata Sgrò ai cronisti - ora vediamo come va, io vedo sempre positiva la cosa. Poi le dichiarazioni che ha rilasciato Diddi mi sembrano molto positive no? Quindi ora vediamo, ci vediamo dopo».

Dalle parole pronunciate da Pietro Orlandi a margine del colloquio, sembra confermata, almeno nelle intenzioni, una linea rigorosa e inflessibile da parte del Vaticano.

Il momento, che si incrocia con l’avvio delle procedure per l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare per i casi Orlandi e Gregori (un’altra ragazza scomparsa nel 1983 di cui non si è mai saputo nulla) che ha già ricevuto l’ok unanime della Camera e attende il sì scontato del Senato probabilmente entro la fine di questo mese, è quindi topico.

L’apertura dell’inchiesta vaticana arriva con 40 anni di clamoroso ritardo. Che fosse il Vaticano a dover indagare e a collaborare con le autorità inquirenti italiane era chiaro fin dall’inizio e non solo per il fatto che Emanuela fosse cittadina del piccolo Stato (lo era diventata, dato piuttosto inquietante, solo 3 mesi prima della sua sparizione), ma anche perché tutte le piste e le ipotesi fin qui fatte conducono dritte ai pochi km quadrati racchiusi dalle mura Leonine al centro di Roma.

«Se con un gesto così clamoroso quanto inaspettato – diceva Pietro Orlandi a La Svolta a marzo – hanno deciso di aprire un’inchiesta, vuol dire che a qualcosa arriveremo, non credo che tra qualche mese dicano “Non abbiamo scoperto nulla”. Magari troveranno una verità parziale, faranno trovare i resti di Emanuela, ma qualcosa devono portare in superficie».

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