Economia

Laurearsi: ne vale ancora la pena?

Aumentano sempre di più le rette universitarie negli States (ma anche in Italia). E i giovani sono, anche per questo, sempre meno attratti dai percorsi accademici
Credit: Vasily Koloda
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
4 aprile 2023 Aggiornato alle 06:30

Per molte generazioni, quello nell’istruzione terziaria è stato un investimento redditizio. E chi ha potuto, anche facendo sacrifici, ha cercato di mandare i propri figli (e, in misura minore, anche le proprie figlie) all’università, sapendo che la laurea avrebbe rappresentato nelle loro mani una carta in più sul mercato del lavoro.

Certo, le differenze da Paese a Paese sono profonde. E mentre in Italia si cerca di garantire l’accesso alle università pubbliche a tutte le persone che siano intenzionate a iscriversi, con rette annuali che vengono stimate in base al reddito Isee e borse di studio per le persone più fragili, non è dappertutto così.

L’istruzione universitaria in Usa: cosa sta cambiando

Come si sa, il sistema universitario negli Stati Uniti è molto diverso e, a causa di inflazione, crescita lenta e incremento della competitività internazionale, qualcosa sta ulteriormente cambiando. Ma aiutiamoci con i dati.

Nell’anno accademico 1963-1964, la retta annuale per un’università pubblica ammontava a 243 euro e quella per un’università privata a 1.011 dollari (ovviamente, a esclusione delle spese di vitto e alloggio).

Nell’anno accademico 2020-2021, rispettivamente, le rette sono arrivate a 9.375 dollari per un anno di università pubblica e 32.825 dollari per un anno in una privata, che rischia di arrivare a 70.000 dollari annui, includendo anche le spese aggiuntive di vito e alloggio.

Non tutte le famiglie possono permetterselo. E infatti, in molte università, incluse Harvard, Yale e Stanford, gli studenti che vengono accettati, ma le cui famiglie producano un reddito inferiore ai 60.000 dollari possono accedervi gratuitamente.

Ne vale la pena?

…e qui iniziano i problemi, perché in effetti, uno degli elementi critici del sistema statunitense è la scarsa trasparenza sui prezzi delle rette, che contribuisce peraltro a creare fenomeni distorsivi sul mercato.

Molti aspiranti studenti universitari, infatti, non riceveranno una stima precisa della retta da pagare finché non saranno formalmente accettati dall’ateneo a cui hanno fatto richiesta (ma come decidere, a questo punto, a quale ateneo cercare di accedere, se non si ha un’idea precisa di quanto ci costerà?).

Non sarà un caso che, secondo una recente ricerca di Wall Street Journal in collaborazione con la National Opinion Research Center della University of Chicago, la maggioranza degli americani ritiene che non ne valga la pena e che, tutto sommato, ottenere una laurea non potrà influire in maniera determinante sulle proprie possibilità di carriera e guadagno. E infatti, la probabilità di frequentare l’università è scesa dal 71% al 51% negli ultimi due anni, secondo i dati prodotti da ECMC Group.

…forse ancora sì

Ma è vero che la laurea non ha più alcun valore sul mercato del lavoro?

Secondo un recente report del Georgetown University Center on Education and the Workforce (CEW), un lavoratore laureato guadagna una media di 2,8 milioni di dollari nell’arco della loro vita professionale, a fronte di 1,2 milioni medi guadagnati da un lavoratore in possesso di un diploma superiore. Se ve lo foste chiesto, alle donne va comunque peggio: se si laureano, in media guadagnano quasi un milione di dollari in meno

La ricerca dimostra anche che in generale, all’aumentare dei titoli di studio conseguiti, aumenta la retribuzione media. E non è finita qui: anche negli anni a venire (le proiezioni arrivano al 2027), secondo la Georgetown University, il 70% dei lavori richiederà comunque un livello di istruzione universitario e per quanti non ne saranno in possesso sarà più difficile accedere a posizioni lavorative a elevato remunerazione.

E allora, non importa se, nel 2019, il 62% delle persone laureate sono uscite dall’università con un debito studentesco dell’ammontare medio di circa 29.000 dollari. E se, a seconda del piano di restituzione del debito, potranno volerci da 10 a 30 anni per liberarsi di questo peso.

Con ogni probabilità, milioni e milioni di americani continueranno a navigare nell’incertezza delle rette annuali e a farsi carico dei prestiti pluriennali. Quanto meno, lo faranno finché i benefici finanziari e sociali continueranno a superare i costi di cui farsi carico.

PS: per alcune persone, secondo The Economist, sarà meglio comunque pensarci due volte. Per chi? Per coloro che non eccellono negli studi: lavorando, guadagneranno sempre di meno dei colleghi più preparati. E poi, sorpresa sorpresa, per le donne, che saranno pagate di meno, no matter what.

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