Economia

Pnrr: istruzione, grande penalizzata

Secondo uno studio di Intesa Sanpaolo e Pnrr Lab il Pil italiano nel 2026 aumenterà solamente del 2,5%, rispetto al 3,6% previsto inizialmente. Il piano va a rilento. Soprattutto su asili nido e scuole dell’infanzia
Credit: Yan Krukov/ Pexels
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16 dicembre 2022 Aggiornato alle 17:00

Il Pnrr potrebbe diventare uno dei problemi più importanti che il governo Meloni dovrà affrontare. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato approvato in Italia nel 2021, con l’obiettivo di rilanciare l’economia fortemente provata dalla pandemia. All’Italia sono stati assegnati 191,5 miliardi di euro, di cui 70 miliardi in sovvenzioni a fondo perduto e 121 miliardi in prestiti, da spendere tra il 2022 e il 2026.

Il quadro, però, sembra essere preoccupante. Secondo uno studio di Intesa Sanpaolo e Pnrr Lab della Sda Bocconi, infatti, il Pil italiano nel 2026 aumenterà solamente del 2,5%, rispetto al 3,6% previsto inizialmente.

Il piano va a rilento: nel 2022 la spesa prevista era di 22 miliardi di euro, dei quali invece sono stati utilizzati solamente 15. Questo comporta un’accelerazione nell’investimento negli anni successivi. Tutto ciò è aggravato dall’aumento dei costi di produzione, che potrebbe frenare la realizzazione delle opere previste.

Uno dei settori più importanti su cui il Pnrr deve investire è quello degli asili nido e delle scuole dell’infanzia. Le risorse destinate ammontano a 4,6 miliardi di euro, di cui 700 milioni per progetti già in essere (finanziati con fondi nazionali), 2,4 miliardi per la costruzione di nuovi asili nido, 600 milioni per le scuole dell’infanzia e 900 milioni per le spese di gestione.

Da qui, l’allarme della Corte dei Conti per il «mancato rispetto dell’obiettivo intermedio nazionale relativo alla selezione degli interventi da ammettere a finanziamento […] evidenziando il rischio che il ritardo accumulatosi pregiudichi l’obiettivo intermedio europeo di aggiudicazione dei lavori, da raggiungersi entro il secondo trimestre 2023»; l’obiettivo era quello di aumentare i posti negli asili e nelle scuole dell’infanzia a 264.500 unità, e cercare di raggiungere il target europeo che prevede che almeno il 33% dei bambini al di sotto dei 3 anni abbia un posto nella scuola; in Italia la percentuale è ferma al 26,9%. Il ritardo sottolineato dalla Corte dei Conti è di 4 mesi e mezzo.

Secondo i magistrati, la responsabilità dei ritardi è sia dei comuni, che hanno presentato pochi progetti per la costruzione di nuovi asili, sia del Ministero della Pubblica Istruzione. Molto spesso, inoltre, sono proprio i comuni più carenti di servizi a essere in ritardo; le tre regioni con meno candidature sono Molise, Basilicata e Sicilia. Ne consegue un’Italia spaccata in due.

I lavori, quindi, non riescono a essere assegnati perché gli enti locali non fanno le gare per aggiudicare i bandi. È necessario accelerare per poter aggiudicare i bandi e aprire i cantieri entro giugno 2023, così come previsto dal Pnrr. Ma non sarà semplice. Era fissata una scadenza per la pubblicazione della graduatoria dei progetti comunali ammessi al 31 marzo 2022, ma questa non è stata rispettata e la graduatoria è stata pubblicata soltanto l’8 settembre.

Il ministro degli affari europei Raffaele Fitto (FdI), vista la gravità della situazione, ha convocato una cabina di regia per oggi per discutere e verificare quali sono gli obiettivi che rischiano di non essere raggiunti entro il 31 dicembre. Dopo aver verificato, se ci saranno obiettivi a rischio, il governo Meloni sarà pronto a far uscire un decreto-legge con tutte le misure necessarie per poterli raggiungere.

Il governo non si è fatto comunque attendere, e il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha voluto precisare che «il ritardo è maturato con riferimento a un cronoprogramma fissato a marzo 2022, ovvero precedente all’insediamento di questo governo».

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