Diritti

Uno sguardo all’istruzione: che disastro!

Secondo il rapporto Education at a Glance 2022, in Italia solo il 20% della popolazione attiva raggiunge la laurea. E il Pil destinato all’istruzione è inferiore alla media Ocse
Credit: Cottonbro
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10 ottobre 2022 Aggiornato alle 21:30

L’istruzione terziaria è il tallone d’Achille del nostro Paese.

Non è un’esagerazione. L’Italia sul tema dell’educazione e dell’istruzione è davvero un disastro, sotto ogni punto di vista. E ce lo confermano i dati emersi dal rapporto Education at a Glance, “Uno sguardo sull’educazione 2022”, l’indagine curata dall’Ocse che quest’anno ha puntato i riflettori sulle università e i cui risultati sono stati presentati nei giorni scorsi insieme a Fondazione Agnelli e Save the Children alla presenza del ministro Patrizio Bianchi.

Il rapporto, che ha offerto un’ampia panoramica sul mondo dell’istruzione, ha sottolineato l’arretratezza tutta italiana nel mondo dell’educazione e delle università.

Parentesi università. L’Italia ha meno della metà dei laureati degli altri Paesi: quel famoso “pezzo di carta” è appeso tra i quadri sul muro solo per un adulto su 5 (il 20% della popolazione attiva fra i 25 e i 64 anni), contro il 41% della media Ocse.

Eppure, da quanto è emerso, chi finisce almeno la triennale ha il 20% in più di possibilità di trovare un impiego rispetto a chi ha fatto la terza media (contro il 26% della media Paesi Ocse), e il 6% in più rispetto a un diplomato alle superiori (negli altri Paesi è l’8%).

E allora perché così pochi laureati? Probabilmente la risposta è nel nostro ritardo storico (sono ancora pochissimi i laureati sopra i 50 anni), oltre che nel fatto che anche fra i più giovani (25-34enni) il tasso dei laureati è aumentato più lentamente che altrove, passando dal 10% del 2000 al 28% dello scorso anno.

Più verosimilmente la risposta ha una matrice economica. L’università italiana costa troppo. Le tasse nelle università del nostro Paese sono fra le più alte all’interno dell’Unione europea: quasi 2000 dollari per la triennale e 2.221 per la specialistica, poco meno dell’Olanda, ma quattro volte la Francia, mentre in Germania si pagano poco più che dei contributi amministrativi e nel Nord Europa è gratis.

Laurearsi costa troppo, ma la laurea è il passepartout per il mondo del lavoro. O quasi.

Dimmi che laurea prendi e ti dico se lavorerai: mentre nella maggior parte dei Paesi Ocse i corsi di laurea più gettonati sono quelli economici, gestionali e politici, in Italia 1 studente su 5 sceglie un indirizzo letterario o artistico. Peccato che quest’ultimo sia il meno ricercato dal mercato del lavoro (69% di occupati: due punti in meno di chi ha in tasca solo il diploma di scuola superiore), mentre il titolo di studio più richiesto è quello in ambito sanitario e sociale (89% di occupati). Subito dietro, i laureati in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (88% di occupati) che però sono pochissimi (2% dei laureati contro una media Ocse del 6%).

Quindi no, a meno che non decida di lavorare nel mondo sanitario, sociale o della comunicazione, in Italia (molto probabilmente) non lavorerai.

Parentesi gap. Appartieni all’80% senza laurea di cui parlavamo prima? Lavorerai lo stesso, in qualche modo.

Sei donna? Ah, allora no. Se sei donna no. Se sei donna allora le tue possibilità sono sempre più basse rispetto a quel tuo compagno di banco, uomo, ai tempi della scuola.

Dal rapporto, infatti, è emerso che delle donne ferme alla terza media, solo 1 su 3 lavora, mentre la percentuale maschile si attesta al 64%. Gran bel divario.

Un altro divario meritevole di attenzione è quello che riguarda, poi, il salario di chi ha una laurea e di chi, invece, non ce l’ha: nel 2018 i lavoratori in possesso di un titolo di studio universitario in Italia guadagnavano il 76% in più rispetto a quelli con un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore. Un vantaggio consistente ma comunque inferiore rispetto alla media dell’area Ocse dove la laurea paga il doppio del diploma di terza media.

Anche su questo, quindi, in Italia non ci siamo.

Studiare tutta una vita per uno stipendio di poco più alto rispetto alla paga di chi ha interrotto gli studi senza raggiungere l’obiettivo di una corona in testa. Sacrificio oggi, per la meritocrazia domani, dice qualcuno. Studiare, allora, non serve davvero, pensa qualcun altro.

Restando in tema salari e provando ad addentrarci nel mondo dell’istruzione e della scuola, emerge dal rapporto che, se già in generale gli insegnanti tendono a guadagnare di meno degli altri lavoratori professionisti con una laurea in tasca, in Italia lo svantaggio è più marcato che altrove: gli insegnanti guadagnano il 27,4% in meno rispetto a una media europea!

Al contrario, i salari reali dei dirigenti scolastici in Italia sono molto più alti di quelli degli altri lavoratori con un’istruzione terziaria (più 73% rispetto a un lavoratore full-time laureato contro una media europea del 31% in più).

E mentre siamo qui a destreggiarci tra percentuali, salari e corsi universitari, c’è chi si tiene lontano da tutti questi numeri e tutti questi problemi: i Neet. Chi sono? Sono giovani che non hanno lavoro né studiano. E con loro il Covid è stato impietoso. Nel 2021 la quota di Neet di età compresa tra 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6%. È cresciuta fino al 30,1% tra i giovani di età compresa tra 20 e 24 anni.

Altro punto che segna in maniera definitiva e inequivocabile il KO del mondo dell’educazione e dell’istruzione.

Ma, d’altronde, cosa ci si poteva aspettare da un paese che non investe su questo settore? Nel 2019 la spesa italiana per gli istituti di istruzione dal livello primario a quello terziario è stata pari al 3,8% del Pil contro il 4,9 della media Ocse. E mentre la spesa media per studente in Italia è più o meno in linea con gli altri Paesi Ocse, nella spesa universitaria invece siamo fra gli ultimi: 12.000 dollari per studente contro una media di 17.500 dollari

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