Diritti

Le disuguaglianze dipendono da dove nasciamo

Il 97% della popolazione mondiale abita nel Paese in cui è nato: un fattore che può influenzare ricchezza e povertà. E giustificare due terzi delle differenze di reddito tra le persone
Credit: Cottonbro studio
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5 aprile 2023 Aggiornato alle 13:00

Le differenze economiche e sociali dipendono innanzitutto da dove si nasce e si vive: è questo, secondo Our World in Data (progetto del Global Change Data Lab), il fattore che influisce maggiormente sulle disparità delle condizioni di vita a livello globale. Lo studio del ricercatore Branko Milanovic rivela infatti che il Paese in cui si vive può giustificare ben due terzi delle differenze di reddito tra le persone.

Tuttavia, osserva il team, ciò non significa che gli individui non possano migliorare le proprie condizioni di vita attraverso altri fattori, come l’istruzione, il lavoro e gli interventi statali mirati. Ma, secondo Max Roser, fondatore di Our World in Data, tutti i fattori “individuali” messi insieme contano molto meno rispetto a una variabile che è completamente al di fuori del nostro controllo: essere nati o meno in una grande economia produttiva. La ricerca rivela infatti che per la quasi totalità della popolazione mondiale (97%) il luogo in cui si vive coincide con lo stesso in cui si è nati.

Le disuguaglianze economiche dipendenti dal Paese di origine hanno effetti sulle diverse condizioni di vita delle persone, spiega lo studio basato sui dati della Banca mondiale. In particolare, dove i redditi sono più alti le persone vivono più a lungo e bambini e madri muoiono meno spesso; inoltre, i medici possono concentrarsi su meno pazienti, i cittadini hanno un maggiore e miglior accesso all’acqua potabile e all’elettricità, possono viaggiare di più, hanno a disposizione maggior tempo libero, un accesso all’istruzione più alto e migliori risultati di apprendimento.

Inoltre, la ricerca Millions of children learn only very little. How can the world provide a better education to the next generation? (sempre di Our World in Data) mostra che il livello di reddito medio di un Paese è più importante per l’apprendimento di uno studente rispetto al reddito medio di una famiglia all’interno di quello stesso Stato. Tra le varie rilevazioni, basate sugli effetti che la ricchezza ha sull’apprendimento stesso, emerge che la difficoltà di comprensione nella lettura riguarda il 9% dei bambini che terminano la scuola primaria nei Paesi ricchi, mentre in quelli a basso reddito la percentuale sale fino al 90%.

Ma ridurre il divario tra i redditi all’interno di uno Stato, e quindi le disuguaglianze di vita, è possibile. I dati mostrano che la ridistribuzione attraverso le tasse e la spesa pubblica è uno strumento efficace che i Governi possono utilizzare per ridurre le disuguaglianze. Tuttavia, questa riassegnazione è in larga parte interna al Paese e non riesce quindi a raggiungere gli Stati più poveri.

La buona notizia è che la condizione di povertà nel mondo nell’arco dell’ultima generazione si è ridotta. Chi vive oggi al di sotto della soglia globale di povertà, pari a 2,15 dollari, è 1 miliardo in meno rispetto al 1990: in media, il numero è diminuito di 47 milioni ogni anno, ovvero 130.000 persone al giorno. Ma, se da una parte 1 cittadino su 10 vive ancora in una condizione di estrema povertà, dall’altra l’85% della popolazione mondiale sopravvive con meno di 30 dollari al giorno (ovvero la soglia di povertà applicata nei Paesi ad alto reddito).

Le stime post pandemiche non sono d’altra parte positive e mostrano che, fino al 2030, oltre mezzo miliardo di persone continuerà a vivere in condizioni di povertà estrema. E questo non a causa di chi sono o di cosa fanno, ma perché si ritrovano, casualmente, a nascere e a vivere in un luogo piuttosto che in un altro.

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