Diritti

Iran: non si protesta più solo nelle strade

Durante la Festa del fuoco, uomini e donne hanno intonato canti di dissenso. E mentre Telegram viene utilizzato per organizzare manifestazioni, sui muri delle città compaiono graffiti pro-democrazia
Credit: EPA/ABEDIN TAHERKENAREH
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20 marzo 2023 Aggiornato alle 16:00

In Iran le proteste non sono scomparse, piuttosto stanno cambiando forma gradualmente: oltre a scendere in strada, gli iraniani e le iraniane si scambiano comunicati tramite social (Telegram è il più usato) e scrivono graffiti sui muri.

La scorsa settimana tantissime città si sono unite in un’importante ondata di proteste in occasione del Chaharshanbe Suri, la festa del fuoco che si celebra alla vigilia dell’ultimo mercoledì dell’anno (il Nowruz, il Capodanno iraniano, cade il 21 marzo): per le celebrazioni, al tramonto si accendono falò e si salta sulle fiamme cantando “Sorkhi-ye to az man, zardi-ye man az to”, che significa “Lascia che il tuo rossore sia mio, e che il mio pallore sia tuo”.

E così è stato fatto, ma questa volta sono stati cantati anche alcuni slogan che accompagnano le proteste contro il regime, tra Teheran, Isfahan, Rasht, Gorgan, Rasht, Karaj, Saqqez e Sanandaj. Il più intonato è stato “Jin, Jîyan, Azadî”, ovvero, “Donna, Vita, Libertà”.

A inizio mese, inoltre, ragazzi e ragazze hanno organizzato 3 giorni di proteste, dando comunicazione dell’iniziativa attraverso i canali social della United Youth of Iran, un’alleanza di vari gruppi di “giovani di quartiere” di tutto l’Iran, che lottano per rovesciare il regime. Ed è stato proprio questo gruppo a proporre di trasformare la festa del fuoco in un “simbolo della lotta contro il regime repressivo” che “ha eliminato o duramente represso individui per le loro diverse convinzioni per molti anni”.

Il social più usato per scambiarsi informazioni, organizzare le proteste e diffondere notizie è Telegram, che conta più di 50 milioni di utenti in Iran: la ragione principale è sicuramente il livello di sicurezza offerto dalla piattaforma (un fattore importantissimo considerando il numero degli arresti durante le proteste e i vari blocchi della rete avvenuti nel Paese).

Tramite il social si diffondono anche “carte dei diritti” contenenti richieste specifiche dei cittadini, che poi vengono pubblicate e diffuse al pubblico. A metà febbraio, per esempio, diversi gruppi che lottano per i diritti umani (sindacati, organizzazioni studentesche e associazioni femministe) hanno fatto circolare un documento in cui, tra le tante cose, si legge: “La religione è una questione privata. Non dovrebbe interferire nel destino delle persone e nelle leggi politiche, economiche, sociali e culturali del Paese”.

È molto importante anche la Carta dei diritti delle donne realizzata da un collettivo di femministe iraniane, pubblicata l’8 marzo 2023, in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne, che contiene appelli per inserire, nella futura ricostruzione dell’Iran, misure che conducano all’uguaglianza di genere e alla giustizia sociale. “Agli albori del movimento Donna, vita, libertà, noi, un collettivo di femministe iraniane, che abbiamo subito discriminazioni e ingiustizie storiche, sentiamo fortemente che è giunto il momento di trasformare in realtà i nostri diritti di cittadine uguali”, recita la carta nelle prime righe.

Anche i graffiti stanno accompagnando le nuove proteste: Teheran si sta riempiendo di scritte sui muri. La più diffusa è “Non dirlo a mamma”, la frase pronunciata da Mohammad Mehdi Karami prima della sua esecuzione. Sempre nella Capitale ne è comparso uno di matrice femminista, con scritto “Le donne qui bruceranno ogni giorno, fin quando non bruceremo la radice della misoginia”. Questi graffiti vengono poi fotografati e diffusi tramite i social, per diffondere la propria voce.

Alcune ragazze nel quartiere Ekbatan (Teheran) hanno pubblicato su TikTok una “danza per la libertà” con la canzone Calm Down: la giornalista Masih Alinejad ha scritto su Twitter che le ragazze in questione “sono state braccate dalla polizia e le autorità le hanno costrette a coprirsi i capelli e a scusarsi davanti alla telecamera”.

Ha poi aggiunto: “A noi donne iraniane non è permesso mostrare i capelli e ballare in pubblico”. Sempre più ragazze si stanno unendo alle proteste online, con il “ballo per la libertà”. È stata proprio Masih Alinejad a parlare delle nuove forme che stanno assumendo le proteste in Iran, spiegando che «Ora il dissenso si sta organizzando in altre forme, come scioperi e disobbedienza civile, con campagne che invitano a non pagare le bollette o a ritirare i soldi dalle banche e convertirli in dollari. Sistemi alternativi per fare pressione sul Governo, senza rischiare il carcere e la vita».

La mobilitazione non si è fermata. Nuovi mondi, nuove forme, stessa resistenza. E, come sempre, al grido di “Donna, Vita, Libertà”.

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