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Perché non ci sarà un’altra guerra tra Ucraina e Russia

Come in ogni conflitto, non è facile capire le ragioni delle tensioni. La nostra redattrice racconta il suo primo viaggio da Mosca a Kyiv. In attesa di sapere cosa accadrà
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1 febbraio 2022 Aggiornato alle 08:00

La prima volta che sono andata a Kyiv (Kiev per noi occidentali) era il giugno del 2017, mi ero appena laureata in Giornalismo internazionale alla Libera Università di Berlino e all’Università Statale di San Pietroburgo, discutendo nella Capitale imperiale una tesi sulla polarizzazione politica dei principali quotidiani italiani nei confronti della Russia. Tra i periodi presi in analisi, non avevo dubbi nell’includere nella mia ricerca i primi mesi del 2014, fondamentali per capire cosa stia succedendo in questi giorni tra Ucraina e Russia: l’annessione della penisola della Crimea dopo il controverso referendum indetto da Putin nel febbraio del 2014, le sanzioni dell’Occidente inflitte a Mosca, le proteste di Piazza Maidan, a Kyiv, e la cacciata dell’allora presidente dell’Ucraina, Viktor Janukovyč. Il 16 marzo 2014 il 97% degli abitanti della Repubblica indipendente di Crimea aveva scelto di essere riannesso alla Federazione Russa, chiudendo le porte all’Ucraina e cambiando gli equilibri geopolitici mondiali: ancora oggi la proclamazione d’indipendenza e il referendum del 2014 sono considerati illegali dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. L’Ucraina considera la Crimea il suo territorio, ma temporaneamente occupato.

Come in ogni conflitto lontano dai nostri confini, non è facile spiegare la situazione russo-ucraina. Le parole “guerra” o “invasione” rimbalzano da settimane sui giornali, tanto da farci temere un attacco armato russo con conseguenze anche a casa nostra.

Kyiv la ricordo bene per diversi motivi. Sono partita da Mosca con un autobus notturno: ai tempi parlavo poco russo ed ero l’unica “straniera” a bordo, un viaggio di 13 ore in un bus pieno di ucraini che lavoravano nella capitale della Federazione Russa, per lo più uomini, che tornavano qualche giorno a casa. Dopo l’annessione della Crimea nel febbraio del 2014 e l’inizio della guerra nel Donbass, nell’est dell’Ucraina, sono stati cancellati tutti i collegamenti aerei tra i due Paesi. Uno degli unici modi per raggiungere Kyiv da Mosca era quel pullman: quasi 900 km in 13 ore al costo di circa 20 euro (le due capitali sono collegate anche da treni). Ricordo la fermata all’alba in mezzo alla campagna ucraina dopo aver passato le frontiere. E poi, arrivata a Kyiv, l’imponente piazza Maidan, la Piazza dell’Indipendenza (Maidan Nezalezjnosti) che tutti chiamano semplicemente “piazza” (ha lo stesso significato in ucraino, arabo e persiano), teatro di quella che viene definita Euromaidan, la rivoluzione scoppiata alla fine del 2013 e degenerata nel febbraio del 2014 dopo che Yanukovych, amico del Cremlino, si ritirò da un accordo previsto per avere relazioni più strette con l’Ue.

Nei miei ricordi era distrutta, così come lo era durante la rivoluzione e come l’avevano fatta vedere i giornali e le tv internazionali. Diversa da come è oggi. Non si devono e non si vogliono dimenticare i morti e le proteste, ma anche Kyiv in qualche modo è andata avanti, costretta a fare i conti con la corruzione, la grave crisi economica e il pugno duro di Vladimir Putin. Sono cambiati i governi - dal 2019 il presidente è Volodymyr Zelensky, ex comico - ma non la volontà di entrare a far parte della Nato. Anche se a Putin non va giù, da sempre, perché vorrebbe dire avere l’Alleanza Atlantica vicina di casa (nel 2008 l’Ucraina stava lavorando per entrare nella Nato ma l’Alleanza non può accettare nuovi membri già coinvolti in conflitti; inoltre, per essere ammessa, Kyiv deve prima combattere la corruzione che domina nel Paese e intraprendere un percorso di riforme politiche e militari). Un ingresso nella Nato in tempi brevi è altamente improbabile, ha detto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden qualche giorno fa. Improbabile così come una invasione vera e propria di Mosca.

«È rilevante, ma abbastanza improbabile: generalmente, chi attacca lo fa di sorpresa» ha affermato in un’intervista Carlo Jean, ex generale di corpo d’armata ed esperto di strategia militare e geopolitica, docente di Studi strategici all’Università Luiss di Roma. «Chiariamoci, con 100.000 uomini Putin non può occupare l’Ucraina, né realizzare un cambio di regime: questo sarebbe possibile solo inviando milioni di uomini nel Paese».

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, invece, ha esortato l’Occidente a non scatenare “il panico” nella crisi con la Russia. «Il rischio maggiore per l’Ucraina è la destabilizzazione interna» piuttosto che la minaccia di un’invasione russa, ha precisato Zelensky in una conferenza stampa con i media stranieri, dopo che Biden aveva affermato la possibilità concreta che i russi invadano l’Ucraina a febbraio. Per Zelensky, la priorità è stabilizzare l’economia: «La probabilità dell’attacco [da parte dei russi] esiste, non è scomparsa, e non è stata meno grave nel 2021, [ma] non vediamo un’escalation maggiore di quella dello scorso anno». Per il leader ucraino, ascoltando i media internazionali e «anche rispettati capi di Stato», sembra «che ci sia già una guerra [in tutto il Paese], che ci siano truppe che avanzano nelle strade. Ma non è così» ha puntualizzato. «Questo panico, quanto costa al nostro Paese?»

Un panico esistente quando si pensa alla guerra nel Donbass che va avanti dal 2014 quando, foraggiate da Mosca, le milizie separatiste fondarono le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Da allora ha già provocato 15.000 morti, con gli osservatori dell’Osce che ogni giorno registrano circa 500 violazioni degli accordi di cessate il fuoco firmati l’11 febbraio 2015 a Minsk.

Nelle ultime settimane, il presidente russo Vladimir Putin ha sì schierato oltre 100.000 truppe vicino ai confini dell’Ucraina (a circa 300 km), ma continua a ripetere che non invaderà l’Ucraina. A chi credere? Le richieste di Mosca inviate a Washington sono chiare: garanzia entro due mesi che l’Ucraina non diventi mai membro Nato, che l’Alleanza Atlantica non conduca esercitazioni a ridosso dei confini russi, e che gli Usa non mandino truppe verso i Paesi Baltici. Secondo il dipartimento di Stato americano, al momento solo il 6% dei confini russi toccano i Paesi della Nato, con il Cremlino che la accusa di fomentare le tensioni e fornire armi all’Ucraina.

Per prevenire il rischio di un’invasione, le nazioni della Nato - Unione europea, Stati Uniti, Canada e altri Paesi occidentali - hanno minacciato pesanti sanzioni economiche, smentendo di avere piani per schierare truppe di combattimento della Nato in Ucraina. La domanda di Volodymyr Zelensky, «questo panico, quanto costa al nostro Paese?» risuona quindi tra le strade innevate di Kyiv, probabilmente non tra gli ultranazionalisti che si fanno fotografare dai media pronti a sparare, né tantomeno all’ombra del Cremlino. Finita l’emergenza pandemica, quanti turisti andranno però a visitare Kyiv per un week-end?

Nel 1991, quando l’Unione Sovietica crollò, l’Ucraina fu la prima delle repubbliche sovietiche ad andarsene da Mosca, la sconfitta più amara per la Russia - nel 19° secolo Kyiv divenne la capitale dell’antico Stato russo della Rus, e a differenza delle altre Repubbliche, l’unione tra Ucraina e Russia è sancita da un trattato siglato nel 1654. Prima del crollo dell’URSS, l’Ucraina era la Repubblica sovietica più popolosa, oggi divisa dalla Russia da quasi 2.000 km di confine. Proprio 30 anni fa, nel 1991, Zbigniew Brzezinski, il consigliere per la sicurezza della Casa Bianca, avvertì come la nascita dell’Ucraina si sarebbe rivelata «una delle 3 grandi svolte del ‘900, dopo la dissoluzione dell’Impero austroungarico e la Cortina di ferro».

Senza seminare il panico, le parole del New York Times di qualche anno fa potrebbero riassumere questa lunga storia di amore e odio tra Russia, Ucraina e Usa, e tranquillizzare chi è convinto che la situazione degeneri: «La vera linea Est-Ovest passa per l’Ucraina e per le riserve energetiche del Caspio. A Putin interessa possederla, agli Usa controllarla».

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