Economia

Inflazione: cosa dobbiamo aspettarci?

Ci sono grandi speranze nella sua riduzione nel 2023. Ma, nonostante le stime positive, non sarà così semplice
Credit: Karsten Winegeart
Tempo di lettura 5 min lettura
22 febbraio 2023 Aggiornato alle 15:00

Tutti guardiamo ai prossimi mesi con grande speranza, il fiato è quasi sospeso in attesa di vedere se l’inflazione sarà veramente contenuta, se i tassi di interesse si abbasseranno e se l’economia reggerà il colpo evitando una recessione.

Gli ultimi dati rilasciati dalle banche centrali e dalle principali società di consulenza e ricerca sono positivi: il Fondo Monetario Internazionale calcola che nel 2023 l’inflazione dovrebbe scendere al 6,6% e il Pil globale arrivare a un +2,9%.

A queste prospettive reagiscono bene anche i mercati: a partire dallo scorso autunno gli investitori si sono mostrati ottimisti, scommettendo su una sconfitta decisiva dell’inflazione, considerato il “mostro nero” del 2022.

Eppure, secondo l’Economist, l’inflazione non si abbasserà così facilmente e questo mostro potrebbe essere ancora più che vivo.

Nel 2022 il mercato finanziario non ha dato risultati eccellenti registrando il risultato peggiore degli ultimi dieci anni per il S&P 500 (dalle iniziali di Standard & Poor’s, è uno dei principali indici azionari e monitora l’andamento delle 500 maggiori aziende quotate negli Stati Uniti), anche se dall’inizio del 2023 è cresciuto dell’8%, mentre il valore delle compagnie sul mercato è aumentato di quasi 18 volte.

Anche l’indice Ftse Mib (Acronimo di Financial Times Stock Exchange Milano Indice di Borsa, indice azionario di riferimento in Italia) a Piazza Affari fa salire i guadagni del 37% dopo i minimi raggiunti lo scorso ottobre.

Un ottimismo che si interfaccia tanto nei mercati americani che nelle borse europee complice un inverno caldo che ha messo un freno al rincaro energetico. Notizie dagli effetti positivi le troviamo anche nelle chiusure anti-Covid in Cina, nell’ allenamento della pressione sulle catene di approvvigionamento e nell’abbassamento dei prezzi del petrolio; quest’ultimi stanno, difatti, tornando ai livelli precedenti all’invasione russa.

Ma perché allora diciamo che l’inflazione potrebbe persistere?

L’attuale oscillazione del fenomeno inflattivo può nascondere il reale attaccamento dello stesso ad alcuni settori, come quello dei servizi, dove, il costo del lavoro sta aumentando notevolmente.

Delicato è, difatti, l’equilibrio tra mercato del lavoro e inflazione. La percentuale inflazionistica viaggia nel senso opposto alla percentuale di disoccupazione: se una scende l’altra sale, e viceversa.

Si tratta, tuttavia, di due variabili che necessitano di essere adeguatamente contenute per il funzionamento della società e del nostro sistema economico.

In questo scenario, ecco che acquisiscono un importanza fondamentale le politiche adottate da governi e Banche Centrali per assicurarne il mantenimento all’interno di range prefissati.

Ad oggi, infatti, a fronte di un inflazione in salita, riscontriamo una disoccupazione che segna record al ribasso: in America si toccano i minimi storici, non è mai stata così bassa dal 1969, nei Paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) scende al 4,9% e in Italia, dove è comunque sopra alla media europea, raggiunge il 7,8%.

In America, Gran Bretagna, Canada e Nuova Zelanda i salari crescono a un ritmo sempre più lontano da quello in linea con l’obiettivo inflazionistico del 2%. Nell’Eurozona, invece, l’aumento è decisamente più contenuto anche se il trend si fa spazio nelle economie dei principali paesi, in primis in Spagna.

Nel 1972 il cosiddetto “super ministro” tedesco, Helmut Schmidt, affermò che il 5% di inflazione sarebbe stato più facile da sopportare del 5% di disoccupazione promettendo ai suoi elettori un’attenzione prioritaria alla piaga della disoccupazione e, al contempo, un contenimento dell’inflazione. Uno scenario irrealizzabile, come affermato in seguito dallo stesso ministro, ma utile per comprendere la necessità di trovare il giusto punto di equilibrio tra le variabili di mercato.

Si potrebbe quindi arrivare a un ripensamento delle esigenze, spingendo le banche centrali a correggere (nuovamente) il tiro.

Secondo Robert Lind, economista della società di investimenti Capital Group, gli scenari plausibili sono quattro.

La Fed potrebbe mantenere tassi di interesse elevati, che se da un lato potrebbero permettere una continua discesa dell’inflazione e un rafforzamento dell’economia mondiale, dall’altro il continuo innalzamento dei tassi potrebbe danneggiarla spingendola verso una recessione, che, sempre secondo Lind, negli Usa potrebbe essere di circa il 2%.

In Europa invece le pressioni inflazionistiche potrebbero persistere, anche perché si cercherà di creare una maggior diversificazione dei rifornimenti energetici, aumentando i costi nel prossimo anno e, presumibilmente, accettando un inflazione leggermente al di sopra del target.

Il terzo e il quarto scenario ribaltano le stime di crescite della Cina, giudicate troppo ottimiste – pari al 5,2% nel 2023 secondo il Fmi – e allontanano le preoccupazioni su una possibile svalutazione del dollaro americano.

I dati e le prospettive economiche ci restituiscono un quadro nel quale le possibilità di una modifica dei range prefissati per il contenimento dell’inflazione non sembrano, poi, così assurde.

Numerosi sono gli economisti che ritengono necessaria una loro revisione identificando il target ideale sopra al 2%. Tuttavia, al momento questa scelta sembra essere lontana dalle volontà delle Banche Centrali, anche perché si tratterebbe di una decisione di grande responsabilità e da studiare attentamente. Difatti, prima di affidare alle stesse l’autonomia per contenere l’inflazione e, conseguentemente, prima di applicare politiche di inflation targeting l’economia mondiale era soggetta a una grande instabilità con pesanti danni tanto per gli investitori quanto per il settore pubblico.

Dire, quindi, che l’inflazione sia in caduta libera è errato, come lo è parlare di una certa e modesta discesa. Molto dipenderà dalle decisioni di politica monetaria assunte dalle banche centrali e dal nuovo equilibrio che si vorrà perseguire.

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