Fernanda Wittgens: il mondo non è sempre a misura d’uomo
«La mia vera natura è quella di una donna a cui il destino ha dato compiti da uomo. Ma che li ha sempre assolti senza tradire l’affettività femminile» con queste parole Fernanda Wittgens, la prima donna a divenire direttrice di un’importante istituzione culturale italiana, la Pinacoteca di Brera, diceva la sua sull’annoso dibattito, ancora a venire, sulla leadership al femminile.
Alla vita di Wittgens è stato dedicato un film tv targato RaiFiction - Fernanda - per la regia di Maurizio Zaccarola, ancora per poco disponibile su Raiplay. Wittgens - che qui ha il volto di Matilde Gioli - è una figura storica che ha tutti i titoli per essere raccontata al pubblico, essendo stata molto di più di una grande esperta di arte. A lei si deve il salvataggio di numerose opere da bombardamenti e razzie dell’esercito tedesco nel 1943, ma soprattutto la fuga di molti ebrei dai rastrellamenti.
Inizio ‘900: una bambina accompagna il papà a visitare la pinacoteca di Brera e già sogna di fare la “direttora”, generando sorrisi bonari. È innamorata di un quadro che non la spaventa nonostante la tenera età, il Cristo morto di Mantegna. Un presagio di sofferenza che troverà compimento di lì a poco, quando la ragazzina perde il padre e il fratello.
Brillante, emancipata e anticonformista, Fernanda viene assunta a Brera come operaia avventizia nel 1928. Si fa notare lavorando sodo, più di tutti e più di quanto le venga richiesto. E quando il direttore della Pinacoteca, Modigliani, viene epurato per antifascismo, Fernanda vince il concorso per quell’ambitissimo posto. «Gli uomini sono capaci di produrre cose meravigliose, ma anche di violenza insensata, e per questo penso che l’arte sia l’unica forma di salvezza», dice Fernanda a Giovanni, l’operaio che lei coinvolgerà nel trasporto di opere, e non solo, verso la Svizzera. Lei ha deciso infatti che nei camion, dietro le pesanti scatole di legno che racchiudono i quadri, porterà in salvo qualcosa di ancora più prezioso: vite umane.
Un po’ feuilleton e a tratti eccessivamente verbosa - probabilmente nell’intento di restituire stralci del corpus di lettere che Wittgens scriveva dal carcere dove nel ’44 viene rinchiusa, accusata di delazione - questa serie ha, però, un enorme pregio. Come ha evidenziato il primo rapporto La questione di genere tra immaginario e realtà, curato dall’Osservatorio interno al Ministero della Cultura, le donne in televisione continuano a essere fortemente sottorappresentate nei ruoli professionali, considerati a dominazione maschile.
In uno studio riportato dalla rivista Variety, nel 2021 solo il 35% dei film e delle serie avevano come protagonista assoluta una donna. Ma, anno dopo anno, molto sta cambiando. Solo a febbraio, il 15, debutta su Netflix la serie che racconta la vita di Lidia Poët (Matilda De Angelis), la prima donna a entrare nell’Ordine degli Avvocati in Italia. E poi il 17 febbraio, parte su Sky la miniserie Django diretta da Francesca Comencini, che rilegge in chiave contemporanea l’omonimo film di Corbucci e che ha come ambizione quella di regalare al genere western delle figure femminili di primo piano. Funzionerà? All’auditel l’ardua sentenza.