Storie

Ludovica Mannoni: «Canto la mia emancipazione personale»

La giovane artista romana si racconta tra l’amore per la musica, il primo EP su Spotify e l’importanza della psicoterapia. La sua #storiadisvolta inizia su un palco e arriva fino a Disney+
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7 aprile 2022 Aggiornato alle 22:00

Quando a 13 anni si ritrova a cantare di fronte a un pubblico – un capannello di ragazzi nel cortile della scuola - Ludovica Mannoni rimane terrorizzata. È la prima volta che sente, che sente davvero, la sua voce. Certo, come tutti, le è capitato di canticchiare sotto la doccia o di esibirsi in un buffo concerto mentre è a casa da sola.

Senza contare poi le lezioni di musica, durante le quali ovviamente ha intonato qualche brano di fronte all’insegnante. Ma, non ha mai sentito la sua voce come in quel momento, amplificata dal microfono, in grado di avvolgere tutte le persone attorno a lei. Le è sembrato quasi un suono esterno, estraneo e allo stesso tempo, la cosa più intima che abbia mai fatto: lei, una ragazzina così timida, a volte persino scontrosa, su quel palco improvvisato si è messa a nudo.

Comincia ad ascoltare tanta musica e a comporre qualcosa di suo. Prima un ritornello, poi qualche strofa, alla fine un’intera canzone. Al liceo fonda una band con un gruppo di amici e in quegli anni la sua passione viaggia come un binario parallelo accanto a lei, senza abbandonarla mai.

Dopo la maturità, capisce di voler concentrare tutte le sue energie in ciò che ama. Riesce a entrare al conservatorio e l’anno successivo a Officina Pasolini. Quest’ultimo per lei si dimostrerà un luogo di scambio e di confronto, non solo con altri giovanissimi cantautori, ma anche con attori e artisti, con competenze e linguaggi differenti. «Ad Officina Pasolini ho conosciuto nuovi modi di fare musica. Mi hanno spinta a interrogarmi sulla mia identità artistica e ad accogliere influenze e generi differenti».

Approfondisce, inoltre, il doppiaggio cantato e arriva prestare la voce a Marlena, un personaggio di Elena di Avalor, film d’animazione disponibile su Disney+. Un altro incontro fortuito, che si intreccia a doppio filo con la musica, è quello con la psicoterapia. Inizia a frequentare uno sportello psicologico e, un passo alla volta, porta avanti un percorso che la aiuta a decostruire e ricostruire daccapo l’idea che ha di sé e soprattutto dei suoi rapporti interpersonali.

Sono questi secondo lei i 2 ingredienti fondamentali, l’introspezione e la passione per la musica, che la portano a 26 anni a produrre e a pubblicare sulla piattaforma di Spotify il suo primo EP (di cui per ora sono usciti 2 brani): un racconto intimo di emancipazione personale «dalle cose che in quel preciso momento non ci servono, non sono adatte, non ci fanno bene». Sente di aver finalmente costruito qualcosa, qualcosa di tangibile, che inizierà una fase più matura della sua professione.

Ogni album in qualche modo rappresenta un determinato periodo della propria esistenza. Concluderlo, dopo tante ore di lavoro e di studio nelle sale di registrazione, significa lasciar andare un pezzo di sé. «È una sorta di processo di archiviazione: puoi sempre riaprire la cartella, ma con una consapevolezza e un distacco diversi».

Per il futuro, si augura una crescita professionale e spera di rendersene conto e di godersi il momento quando arriverà.