Diritti

6 milioni

Oggi, 27 gennaio, è la Giornata della Memoria in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto. Emiliano Attia, 17 anni, studente del Liceo ebraico “Renzo Levi” di Roma, spiega ai suoi coetanei qual è la funzione del ricordo. Per non dimenticare la Shoah
Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria.
Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria.
Tempo di lettura 3 min lettura
27 gennaio 2022 Aggiornato alle 07:00

Cosa significa 6 milioni?

6 milioni di chilometri equivalgono a 471 volte il diametro della Terra.

6 milioni di giorni fa eravamo in pieno Mesolitico, nel 18.000 A.E.V…

6 milioni di ebrei sono stati uccisi tra il 1933 e il 1945. Sei milioni.

È proprio per l’unicità di questo feroce massacro, in un contesto storico abbastanza sviluppato, che la Shoah rimarrà una pietra invalicabile nella storia umana: una pietra d’inciampo.

«L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria».

Qual è la funzione del ricordo? Tre verbi gemelli rappresentano, seppur in maniera differente, la reminiscenza: ricordare, rammentare, rimembrare. I primi due, etimologicamente, indicano rispettivamente il “portare al cuore” e il “portare alla mente”. Rimembrare, d’altra parte, attinge a una dimensione totale, profonda, nella quale l’individuo si immerge nell’esperienza “con le membra”, rivivendola.

Se vi capiterà mai di ascoltare dal vivo un sopravvissuto diventerà più semplice comprendere la vera essenza della rimembranza. Ho avuto la possibilità di assistere a vari incontri di Sami Modiano, sopravvissuto di Auschwitz, organizzati dalla scuola, e ognuno di questi mi è rimasto impresso per l’intensità e la soffocante realtà che descrive. I racconti sono pragmatici, di una vividezza angosciante, nei quali si sprofonda fin dalla prima parola, lasciando solo vuoto. Un vuoto catartico, che purifica interiormente e libera dai sensi di colpa e dallo strazio della tragedia.

Sami racconta dell’esilio forzato dalla propria casa, del viaggio in condizioni disumane verso la morte, della divisione dalla famiglia. Ed è proprio sul tema della famiglia che si concentra, la cui forza va al di là delle brutalità subite nel campo di sterminio.

Tra le testimonianze più struggenti c’è sicuramente il rapporto con la sorella Lucia. Sami la descrive come una sagoma difficilmente riconoscibile: corpo scheletrico e capelli rasati. Un mese dopo l’arrivo al campo e lo smistamento sulla rampa della morte, il ragazzo decide di lasciare la sua fetta di pane (il loro pasto) per lei e, dopo averla avvolta in un panno, gliela lancia attraverso il filo spinato. Lucia, in risposta, guidata da un senso di compassione fraterno, lancia indietro il panno con la fetta di pane del fratello e con la sua. È il loro ultimo incontro.

Altro episodio particolarmente toccante riguarda il padre, che si abbandona, dopo 2 mesi di lotta per la vita, al crudele destino, un destino di morte. La sera prima di lasciare il figlio, nel loro ultimo saluto, ripete una frase: «Tieni duro Sami, tu ce la devi fare. Tieni duro Sami, tu ce la devi fare».

Ecco forse che il dovere di non dimenticare che rimbomba in maniera confusa e poco definita nelle orecchie di noi adolescenti durante l’intera Giornata della Memoria assume un significato concreto, reale: come possiamo influire su un avvenimento così remoto, qual è il nostro ruolo? Dobbiamo alleviare il dolore, spartire questo carico apparentemente insostenibile l’uno con l’altro, condividendo la sofferenza dei deportati, tornando lì con mente, cuore e membra. La memoria.

Leggi anche