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Rooming in: come funziona e come viene applicato

Condividere la stanza 24 ore su 24 ha moltissimi benefici per il neonato e per la neomamma. Ma richiede il supporto del personale sanitario e una valutazione delle condizioni della donna
Credit: Anna Shvets/ Pexels
Tempo di lettura 7 min lettura
30 gennaio 2023 Aggiornato alle 14:30

La tragedia avvenuta all’ospedale Pertini di Roma ha sollevato le coscienze di tanti e l’indignazione di molte madri che hanno capito quanto il problema può toccare davvero tutte: la cronaca purtroppo dice che un bambino di tre giorni (per la conferma sulle cause bisognerà aspettare l’autopsia) ha perso la vita perché con molta probabilità sua madre stremata da un travaglio durato 17 ore, si è addormentata mentre lo stava allattando. I magistrati devono chiarire se si siano violati i protocolli e se vi siano state delle negligenze, al momento il fascicolo d’indagine per omicidio colposo è contro ignoti.

Questa tragedia ha riportato l’attenzione sulla pratica in uso in molti ospedali del rooming in, la possibilità che dopo il parto il neonato stia nella stessa stanza della mamma, di solito con una culla posizionata accanto al letto della madre. Consigliata da molti medici, questa pratica ha molti benefici, il problema forse è come si applica negli ospedali.

Cos’è il rooming in e perché viene applicato

Il rooming in non è nuovo in ambiente medico, già nel 1989 in una dichiarazione congiunta Oms/Unicef riguardante l’allattamento al seno, veniva consigliato di praticare il rooming in, permettendo alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale. Il rooming in è stato inserito, come riporta la dichiarazione congiunta Oms/Unicef, tra i dieci step fondamentali per il successo dell’allattamento.

Secondo questa pratica, un neonato sano dovrebbe essere tenuto a contatto pelle a pelle con la propria madre sia in caso di parto naturale che di cesareo subito dopo la nascita o comunque non appena possibile.

Questo consente di creare un legame madre-bambino forte ed efficace e di favorire l’allattamento. Alcuni ospedali consentono il rooming in anche al papà che può così stare in camera con mamma e neonato senza vincoli di orario.

Senza il rooming in, invece, la madre può vedere il neonato soltanto negli orari di allattamento, con intervalli di circa di tre ore.

La vicinanza tra madre e figlio, subito dopo il parto, porta con sé numerosi benefici sia al neonato che alla donna evidenziati da molte ricerche che sottolineano quanto questa pratica riduca i livelli di stress nel neonato e rafforzi il suo apparato immunitario. Allo stesso tempo, la mamma può esercitarsi nell’accudimento, nell’allattamento e nelle prime cure del neonato.

Benefici e difficoltà

Vari studi medici hanno dimostrato come il rooming in offra alle mamme a ai neonati importanti benefici, tra cui: l’instaurarsi di un legame profondo mamma-figlio; la riduzione del pianto e un miglior avvio all’allattamento; tranquillizza il neonato dandogli maggior sicurezza, migliora l’umore della donna e quindi aiuta a prevenire la depressione-post partum. Questo percorso risulta importante perché dopo il parto il neonato passa dall’accogliente ambiente dell’utero, caldo e delimitato, a uno molto diverso, aperto e freddo e continuare ad avere un contatto diretto con la mamma, riconoscerne la pelle, l’odore e il battito è rassicurante e utile per abituarsi alla nuova dimensione extrauterina. Anche per la mamma è istintivo cercare il contatto anche dopo il “trauma” del parto.

Secondo gli esperti il rooming in riduce il rischio di depressione post-partum, stabilizza l’umore e aumenta la fiducia della madre nelle proprie capacità. Con l’aiuto e il supporto delle infermiere, le neo mamme iniziano a capire la gestione delle esigenze quotidiane dei loro piccoli, mettendo le basi per la loro autonomia una volta tornate a casa, il legame madre-figlio continua a essere importante anche per tutti i primi mesi del bimbo.

Questo non vuol dire che il nido in ospedale non serve più, anzi dovrà sempre esistere ed è un valido alleato. Oltre che fondamentale per i bimbi che presentano lievi patologie, è utile per far riposare le mamme.

Il rooming in nasce come un’opportunità, non come un’imposizione e deve perciò essere offerto senza regole fisse, lasciando alla mamma la libertà di scegliere se e per quanto tempo usufruirne. Fondamentali le figure delle puericultrici, che possono prendersi cura del bebè quando la mamma non se la sente, sostenendola e incoraggiarla.

Esistono però dei contro associati al rooming in, come per esempio un ulteriore stanchezza fisica per la madre che potrebbe sentirsi sola nell’affrontare le nuove difficoltà, viste anche le restrizioni dovute alla pandemia, che non consentono ai mariti e ai familiari di essere tutto il giorno in camera.

Ed è per questo che serve un maggior sostegno da parte della struttura ospedaliera, secondo la Società italiana di neonatologia (Sin) “è indispensabile che la madre venga sostenuta e guidata dal personale infermieristico nella presa in carico del bambino, specie nei casi in cui le condizioni personali e/o cliniche materne e del bambino non le permettano una precoce gestione autonoma del figlio”.

Il nido, secondo la Sin, “va mantenuto come servizio complementare per le situazioni di reale bisogno e per rispondere a eventuali temporanee richieste delle puerpere che desiderano o devono delegare al personale l’accudimento diretto del proprio figlio”.

Come viene applicato il rooming in negli ospedali italiani

Il rooming in non è sempre applicato in modo omogeneo ma le modalità cambiano da ospedale a ospedale.

Ad esempio, un tipo di protocollo prevede un primo contatto chiamato skin-to-skin” (“pelle su pelle”) e viene proposto subito dopo la nascita il bambino che viene posizionato sulla pancia della mamma per rendere possibile il primo contatto con il seno.

Questo è possibile solo se il parto è stato naturale, poi successivamente il bambino viene trasferito al nido per le prime cure.

Si passa poi ai primi controlli medici, nel caso del parto naturale, dopo il primo incontro con la madre, il bambino riceve il primo bagnetto e i primi controlli. Poi il piccolo viene riportato in stanza dove inizia il rooming in vero e proprio.

La mamma può anche scegliere di proseguirlo anche per la notte (rooming in notturno).

Durante le ore successive si effettuano visite periodiche ai bambini che vengono riportati al nido in alcuni momenti prefissati della giornata per i controlli pediatrici necessari.

È fondamentale però anche nella pratica del rooming in di garantire alle mamme, indebolite dal parto, un’assistenza continua da parte del personale del nido.

Tra i compiti c’è quello di assistere le mamme durante l’allattamento al seno, aiutarle nell’accudimento (fare il bagnetto, cambiare il pannolino, cullarlo) e rispondere alle loro domande.

Sempre più spesso però le testimonianze delle neo mamme rivelano che questa parte non è sempre presente e che il personale non ha la possibilità e il tempo di essere sempre disponibile. Una delle motivazioni, purtroppo, è da ricercare nella carenza, ormai nota, di personale sanitario negli ospedali italiani.

Su questo è intervenuta la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella: «Dobbiamo aprire un tavolo con il ministro della Salute per costruire un welfare di prossimità per le mamme. È un progetto che intendo portare avanti per non lasciare le donne sole subito dopo il parto, ma accompagnarle».

La ministra chiede inoltre la possibilità di promuovere una maggiore presenza di ostetriche negli ospedali: «Spesso le donne sono sole, non c’è più quella rete di parentela che prima le avvolgeva e le accompagnava e, quindi, bisogna ricostruirla. Si può certamente dialogare con il ministro della Salute anche su questo».

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