Diritti

Violenza post partum: non ne parliamo, ma dovremmo

Se il nome non ti dice niente, è perché è un fenomeno ignorato, che sembra non esistere. Eppure, è fin troppo reale: lo dimostrano le tantissime testimonianze delle donne che dicono “è successo anche a me”
Credit: Pedro Figueras/pexels
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
29 dicembre 2022 Aggiornato alle 14:30

«Mi ha violentata mentre ero in travaglio e di nuovo 3 giorni dopo il parto». «Questo articolo ha riportato alla mente orribili ricordi della sua mano sulla mia bocca per attutire il suono del mio pianto mentre mi strappava i punti di sutura 5 giorni dopo aver avuto il mio bambino». «Dopo il mio primo figlio, il mio allora marito mi ha costretto a fare sesso 5 giorni dopo il taglio cesareo. Ho pianto e l’ho pregato di smettere. Il peggior dolore che abbia mai provato. L’ho lasciato il giorno dopo e sua madre mi ha detto che era mio dovere di moglie sottomettermi a mio marito ogni volta che lo desiderava». «Mi ha strappato i punti di sutura 10 giorni dopo il parto è ho contratto un’infezione all’utero». «Ha visto un uomo che saliva sopra la moglie ancora pesantemente medicata dopo un taglio cesareo gemellare - ha affermato che non voleva aspettare che le sue tette da gravidanza sparissero». «Lavoro in un’unità postpartum e non posso dirti quante volte una delle infermiere o dei tecnici è entrata in contatto con una paziente e suo marito/fidanzato che facevano sesso. Mi fa così arrabbiare per le pazienti perché sai che non lo volevano, con tutto quel dolore e quelle lacrime». «11 anni di lavoro nel postpartum. Posso confermare. È disgustoso».

C’è un tema di cui non si parla, mai. Se si fa una ricerca su Google, in italiano non esistono praticamente record. In inglese, si trova qualche articolo, per o più risalente a qualche anno fa. Eppure, è un tema di cui le donne stanno parlando – tantissimo – su Twitter. E di cui dovremmo parlare anche noi: quello della violenza post partum.

Se il nome non ti dice niente, è perché è un fenomeno così poco descritto che sembra non esistere, ma è invece drammaticamente reale.

Dopo quanto si possono avere rapporti dopo il parto?

In Italia, il cosiddetto “puerperio” dopo il parto dura circa 40 giorni: in questo periodo – prima del controllo ginecologico che verifica che il recupero stia avvenendo correttamente – il sesso penetrativo deve essere evitato. Il motivo è semplice: il corpo dopo il parto ha bisogno di riprendersi. Non è solo una necessità dettata dalla stanchezza, ma dal fatto che non solo sono spesso presenti lacerazioni e suture, ma anche dal fatto che la cervice uterina si è dilatata fino a 10 centimetri e che l’utero ha bisogno di diversi giorni per tornare alle sue dimensioni normali. Fare sesso con penetrazione in questo periodo espone la donna al rischio di contrarre pericolose infezioni, proprio come avviene per una ferita aperta (e a tutti gli effetti lo è).

Senza contare l’impatto psicologico che un evento come il parto, sia naturale che cesareo, e la neomaternità possono avere sulla neomamma e sul suo desiderio. Secondo uno studio, la ripresa dei rapporti sessuali avviene in media dopo 1,9 mesi dal parto. Tra le cause più comuni per la ripresa ritardata dell’intimità – spiega un altro studio – ci sono prevalentemente stanchezza eccessiva, assenza del desiderio, timore di dolore e divieto posto dal ginecologo.

Anche all’estero il tempo minimo di recupero si aggira normalmente intorno alle 6 settimane e non è un caso che anche per la religione islamica il sesso nei primi 40 giorni dopo il parto sia haram, proibito.

A chi può venire in mente non solo di voler fare, ma addirittura di pretendere di fare sesso in questo periodo? A nessuno, è la risposta che verrebbe più immediata. Eppure, le cose non stanno così. Purtroppo.

Le testimonianze di donne che raccontano di essere state forzate – o di essersi sentite costrette, ma non c’è differenza – a fare sesso penetrativo, petting o a fare sesso orale al partner sono tantissime, molto più di quelle che potremmo e vorremmo immaginare.

Come Sarah – il nome è di fantasia – una madre australiana che ha rivelato a Kidspot.au come il compagno l’avesse stuprata durante il travaglio a casa e, di nuovo, 3 giorni dopo il parto.

“Era seminuda e in ginocchio, china su una palla da parto quando improvvisamente il suo fidanzato, *Michael, le si avvicinò alle spalle. ‘L’ho sentito spingermi da dietro. La cosa successiva che ho capito è che stava facendo sesso con me mentre ero nel mezzo di una contrazione. Mi stava penetrando’”.

Solo 3 giorni dopo il parto, mentre Sarah era debole, stanca, mentre il latte le fuoriusciva dai seni e continuava ad avere perdite di sangue, Michael le spinse la testa in basso e la costrinse a fare sesso orale. “Ho pensato che se lo avessi fatto, avrei potuti prendermi una pausa da lui per qualche giorno”. Ma non è servito. “Stavo ancora sanguinando poche settimane dopo il parto e dovevo prenderlo a calci per farlo uscire. Era sempre con me costantemente. Allattavo il bambino a letto e lui cercava di fare sesso con me”.

Già nel 2017 moltissime donne avevano risposto a Ginger Gorman, che ha scritto su News.co.au una storia sulle mamme costrette a fare sesso troppo presto dopo la nascita, e non si aspettava di ricevere così tante altre storie orribili. Molte altre ne stanno discutendo adesso, mentre io scrivo questo articolo e tu lo leggi, su Twitter. E devono essere ascoltate. Perché la violenza del postpartum è tanto più insidiosa perché nascosta, non solo perché rientra tra le violenze sessuali all’interno della coppia – più difficili da riconoscere, denunciare e quindi perseguire – ma perché è una violenza difficile da individuare, che si ricopre di vergogna e che ha luogo in un momento di massima vulnerabilità e rivoluzioni emozionali.

La violenza cucita nel corpo: gli husband stitch

Il sesso forzato, però, non è l’unica forma di violenza che i mariti – o chi per loro – compiono nei confronti delle donne durante o immediatamente dopo il parto. Grazie alla mano di medici benvolenti, infatti, molte donne escono dalla sala parto con quelli che vengono chiamati husband stitch (letteralmente “punti del marito”). Anche conosciuti come daddy stitch, husband’s knot e vaginal tuck, sono letteralmente dei punti di sutura “aggiuntivi” che vengono apposti durante la ricucitura del perineo dopo una lacerazione allo scopo di rendere più stretta l’apertura della vagina e quindi aumentare il piacere del maschio durante il rapporto penetrativo.

Un fenomeno che sembra una leggenda metropolitana – e per molto tempo è stato sostenuto che lo fosse, relegandola a un semplice “scherzo” tra il chirurgo e il padre ansioso per rompere la tensione – ma che, come mostrano le numerose testimonianze di donne che sostengono di aver subito la procedura a loro insaputa, sembra essere molto più concreto.

Come ha spiegato un articolo su Healtline dall’emblematico titolo The Husband Stitch Isn’t Just a Horrifying Childbirth Myth, “non ci sono studi scientifici che dimostrino quante donne ne siano state colpite, né esiste un metodo chiaro per valutare quanto sia realmente prevalente il “punto del marito” in ostetricia. Ma le donne condividono le loro storie come aneddoti, sussurrate come monito. La prova è nelle parole delle donne. O, a volte, è cucito nei loro corpi”.

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