Diritti

Taiwan: si estende il periodo di leva obbligatoria

Da 4 mesi a 1 anno. La decisione è stata comunicata dalla Presidente Tsai Ing-wen, che ha spiegato: «La pace non cadrà dal cielo»
Credit: EPA/MAST IRHAM 
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2 gennaio 2023 Aggiornato alle 20:00

La decisione di estendere il servizio militare da 4 mesi a un anno arriva in un contesto di crescenti tensioni con la Cina, che rivendica l’isola autogovernata come proprio territorio. Nel corso di una conferenza stampa, la Presidente Tsai Ing-wen ha annunciato nuovi piani per rafforzare la difesa di Taiwan in caso di attacco da parte di Pechino, facendo intendere che non si cercherà la soluzione tramite i rapporti diplomatici.

«La pace non cadrà dal cielo, Taiwan è in prima linea nell’espansione autoritaria», ha dichiarato la presidente; i coscritti, cioè i soggetti maschi maggiorenni idonei al servizio militare, saranno sottoposti a un addestramento più intenso, prendendo in prestito alcuni elementi dagli Stati Uniti e da altri eserciti. Il timore della presidente deriva principalmente dal fatto che l’attuale sistema di difesa dell’isola è inadeguato a fronteggiare l’aggressione della Cina, che ha uno dei più grandi e avanzati eserciti del mondo.

L’esercito di Taiwan si è ridotto dall’inizio degli anni ‘90, quando tutti gli uomini di età superiore ai 18 anni erano tenuti a prestare servizio nell’esercito per un massimo di tre anni; successivamente il periodo è stato ridotto a un anno e 10 mesi, e poi a quattro. La nuova norma entrerà in vigore nel gennaio 2024, lo stesso mese in cui Taiwan eleggerà il suo prossimo presidente. «È una decisione estremamente difficile, ma come presidente, come capo delle forze militari, è mio dovere inevitabile difendere gli interessi nazionali e il nostro stile di vita democratico», ha dichiarato la presidente Tsai.

Nonostante la presidente abbia spesso dichiarato che Taiwan non vuole una guerra e che cerca la risoluzione dei conflitti tramite le convenzioni internazionali, la decisione non è stata una sorpresa, ma in linea con l’incursione militare cinese, mascherata da esercitazione, sempre più aggressiva ad agosto di quest’anno, che il Governo di Taipei, e non solo, ha definito altamente provocatoria. Da quegli episodi, le tensioni tra Taipei e Pechino sono aumentate, e ad aggiungersi c’è stata la visita sull’isola della Presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi.

Qualche mese più tardi, a ottobre, si è aggiunto un altro elemento preoccupante, cioè le dichiarazioni del Presidente cinese Xi Jinping, che non ha escluso l’uso della forza per unificare Taiwan nel suo discorso di apertura del Congresso del Partito Comunista a Pechino. Più tardi, nella stessa settimana, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che la Cina sta perseguendo l’unificazione con Taiwan «in tempi molto più rapidi» di quanto previsto in precedenza.

Taiwan è diventata anche un punto di rottura nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, visti gli stretti legami dell’isola con Washington. Durante il vertice del G20 di novembre, i Presidenti delle due potenze mondiali hanno discusso principalmente della questione di Taiwan; Joe Biden, tuttavia, ha dichiarato di non credere che la Cina invaderà Taiwan.

Le tensioni, tuttavia, si sono recentemente inasprite, quando Taiwan ha riferito di una delle più grandi incursioni cinesi intorno all’isola: 71 aerei dell’aeronautica cinese, tra cui caccia e droni, sono entrati nella cosiddetta zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan.

La questione dell’indipendenza di Taiwan è complessa; legalmente non può definirsi Stato autonomo, nonostante rispetti molti dei criteri previsti per dichiararsi tale, avendo una popolazione, un territorio definito e un governo indipendente ed efficace.

Tuttavia, non esiste, almeno non del tutto, la capacità di entrare in rapporti legali con altri Stati, proprio perché la maggior parte degli altri Stati non accetta che Taiwan goda dei diritti legali di uno Stato.

L’esperienza ci ha dimostrato, anche attualmente nella guerra russo-ucraina, che la risoluzione dei conflitti, comunque, è la via diplomatica e del dialogo; soprattutto in casi come questo, in cui il leader con cui dialogare è pronto al conflitto e in cui una prima aggressione potrebbe portare a una guerra distruttiva.

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