Diritti

Senza asili non si svolta

Finalmente anche uno studio di Bankitalia parla di asili legandoli all’occupazione femminile. Abbiamo ascoltato dalla Presidente del Consiglio la promessa di realizzarli. E il Pnrr non basta
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 6 min lettura
2 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Secondo l’ultimo Bilancio di Genere del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il mercato del lavoro italiano penalizza le madri. Nella fascia d’età fertile, ovvero secondo Istat dai 25 ai 49 anni, il tasso di occupazione delle donne italiane è al 73,9%. Ma solo se non hanno figli. Se invece si sono riprodotte ed hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni, il tasso di occupazione precipita al 53,9%. Perché? Ma ovviamente, perché in un Paese che risente di una forte polarizzazione di genere come il nostro, i figli sono appannaggio delle madri (molto più che dei padri). E quindi è normale che siano loro a prendersene cura (quasi) esclusivamente.

Il problema è, quindi, la cura. Ancor meglio, la cura non retribuita di cui le donne del nostro Paese si fanno carico in misura sproporzionata rispetto agli uomini. Secondo la International Labour Organization, già prima della pandemia le donne italiane spendevano in media oltre 5 ore al giorno in attività di cura non retribuita (prendere e portare i bambini da scuola e dalle varie attività pomeridiane, fare la spesa, cucinare, occuparsi della casa e degli anziani, solo per fare qualche esempio).

Quanto ne spendono gli uomini italiani? Poco più di 2 ore al giorno. E purtroppo, con la pandemia il carico di cura sulle spalle delle donne è ulteriormente aumentato. Questo si traduce nella disponibilità di tempo che ciascuno può riversare sul mercato del lavoro (essendo retribuito e quindi guadagnando del denaro di cui potrà disporre).

E così, mentre il 75% del tempo delle donne è impegnato in attività di cura che non vengono retribuite, per gli uomini questo tempo è praticamente dimezzato e rappresenta il 38% del totale (dati Istat).

Nel Mezzogiorno la situazione peggiora

I dati pubblicati nel Bilancio di Genere confermano anche la necessità di un approccio intersezionale alla tematica. Perché se si è donna, in età fertile, con uno o più figli sotto i 6 anni e si risiede nel Sud del Paese, il tasso di occupazione crolla al 35,2% e il differenziale tra il tasso di partecipazione maschile e quello femminile al mercato del lavoro sale a oltre 26 punti percentuali (nel resto d’Italia, questo gap ammonta a meno della metà). Magari si lascia il lavoro quando arrivano i figli pensando di potervi rientrare, ma i dati ci dimostrano che non succede quasi mai. E che se in media solo l’8% delle donne che lasciano il lavoro per prendersi cura esclusiva della prole, a un anno di distanza tornano a essere occupate, nel Sud questa quota è di appena il 5%.

È necessario un intervento strutturale e infatti in questa direzione vanno gli oltre 2,7 miliardi stanziati nel Pnrr per la costruzione di asili nido al Sud (i fondi arrivano a 4,6 miliardi se si includono anche le scuole per linfanzia). I fondi per la costruzione degli asili nido di cui le Regioni del Sud sono state beneficiarie ammontano al 55% del totale e sono stati previsti nella struttura del Pnrr con l’obiettivo dichiarato di andare a sanare le disparità territoriali esistenti.

Il Pnrr non basta

Ma secondo il Rapporto della Banca d’Italia intitolato L’economia delle Regioni italiane, in uscita nei prossimi giorni, le risorse attribuite al Mezzogiorno potrebbero non essere sufficienti. Gli asili nido rappresentano un servizio essenziale per i bambini e per le famiglie. E per le donne l’offerta sul territorio di questi servizi si traduce in una maggiore disponibilità di tempo, più elevate possibilità di essere occupate e quindi di ottenere l’indipendenza economica.

Tuttavia, alla prima scadenza per accedere ai fondi per la costruzione degli asili nido, le domande provenienti dai Comuni italiani hanno coperto un ammontare pari appena alla metà del totale stanziato, al punto che è stato necessario riaprire i termini e prorogare la raccolta delle domande (e peraltro, dai Comuni del Sud sono arrivate pochissime domande rispetto al totale). Da un lato, perché il sistema dei bandi può essere complesso per molte amministrazioni comunali, che hanno lamentato di non avere personale a sufficienza o sufficientemente formato. Dall’altro lato perché i fondi stanziati coprono la costruzione dell’infrastruttura, ma non i costi vivi necessari per mandarla avanti (fra i quali, quelli del personale).

Semplicemente, nel Pnrr inizialmente nessuno ci aveva pensato. Ed è intervenuto il Ministero dell’Istruzione con uno stanziamento di 900 milioni di euro per la fornitura dei servizi (che andrà a coprire anche il costo del personale). Ma quando questi fondi saranno finiti, questi costi finiranno totalmente a carico dei Comuni. e il rischio nel medio-lungo termine è quello di ritrovarsi con gli edifici costruiti e senza fondi comunali per pagare gli stipendi del personale.

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