Ambiente

Da “mare nostrum” a “mare monstrum” il passo è breve

L’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale e la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici hanno analizzato l’impatto del climate change sul Mediterraneo. I risultati non sono rincuoranti
La grande onda di Kanagawa, Katsushika Hokusai
La grande onda di Kanagawa, Katsushika Hokusai
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10 ottobre 2022 Aggiornato alle 19:15

L’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste (Ogs) con la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) hanno valutato l’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi del Mar Mediterraneo e la situazione è davvero preoccupante: con le attuali tendenze, le emissioni di CO2 alla fine del secolo renderanno privo di nutrienti e ossigeno gli strati superficiali del nostro mare, decretandone la morte.

La ricerca Acidification, deoxygenation, and nutrient and biomass declines in a warming Mediterranean Sea parte dall’identificazione del Mar Mediterraneo come hotspot del cambiamento climatico, questo vuol dire che gli effetti dei cambiamenti climatici in questa zona avranno un impatto particolarmente rilevante. Partendo da questa realtà, il gruppo di ricerca ha voluto valutare come risponderanno gli ecosistemi marini attraverso delle simulazioni numeriche.

Nonostante alcune buone notizie raccontino di un calo delle emissioni di gas serra, il co-autore dello studio Toma Lovato ha sottolineato che «Le emissioni di gas serra legate attività antropiche nei diversi scenari futuri hanno una chiara tendenza a scala globale. Questa tendenza, però, non si trasferisce in maniera diretta a livello regionale e locale. I processi fisici ed ecologici del mare possono esserne influenzati sia positivamente che negativamente».

Da qui la necessità di studiare 2 scenari: quello peggiore simula una crescita di concentrazione di anidride carbonica in modo costante nell’atmosfera fino alla soglia di 1.200 ppm (parti per milione) che si raggiungerebbe a fine secolo. Il migliore, invece, prevede un taglio delle emissioni di anidride carbonica con conseguente stabilizzazione della concentrazione intorno a 500 ppm.

Marco Reale, altro co-autore dell’articolo scientifico pubblicato su Biogeoscience, la rivista scientifica ad accesso aperto della European Geosciences Union (Egu), ha spiegato che la ricerca “valuta l’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini mediterranei tra metà e fine XXI secolo utilizzando proiezioni ad alta risoluzione dello stato fisico e biogeochimico del bacino”.

In ogni caso il Mare Nostrum, come lo chiamavano i romani, va salvato: diventerà più caldo e caratterizzato da un abbassamento drastico di nutrienti e ossigeno e l’acqua diventerà più acida a causa dell’assorbimento di anidride carbonica.

«I cambiamenti previsti - continua Marco Reale - saranno più intensi nello scenario di emissione peggiore e nella parte orientale del bacino, meno influenzata dagli scambi d’acqua allo stretto di Gibilterra. Nello scenario più ottimistico, alcune variabili dell’ecosistema marino mostreranno invece una tendenza per la seconda metà del secolo a recuperare lo stato che avevano all’inizio del XXI secolo».

Con una lettera aperta alla politica italiana, firmata da oltre 400 scienziati e accademici, la Fondazione Cmcc chiede di considerare la lotta alla crisi climatica come la base necessaria per ottenere uno sviluppo equo e sostenibile negli anni a venire.

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