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Dalla parentela con Gramsci alla presidenza del Consiglio dei ministri: chi è Enrico Letta?

Per la serie ritratti politici, ripercorriamo la storia del segretario del Partito Democratico, che i sondaggi vedono in seconda posizione per la vittoria alle elezioni
Credit: ANSA/GIUSEPPE LAM
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18 settembre 2022 Aggiornato alle 20:00

Oggi la sfida è a due: Giorgia Meloni o Enrico Letta. È questo il mantra del Partito democratico in vista delle elezioni politiche del 25 settembre.

Ma chi è Enrico Letta, segretario del Pd, con il sogno dichiarato di tentare una rimonta quasi impossibile su un centrodestra dato in vantaggio?

E quali sono stati i suoi primi passi nel mondo della politica?

Gli inizi

Nato nel 1966 a Pisa, si avvicina alla politica sin da adolescente diventando rappresentante degli studenti del suo liceo e partecipando alle attività del Movimento studenti di Azione cattolica.

Enrico non viene da una famiglia qualunque, ma ha delle parentele importanti sia a livello storico (quella acquisita tramite la madre con Antonio Gramsci, fondatore del Partito comunista italiano) sia a livello contemporaneo: lo zio Gianni è infatti uno dei consiglieri più ascoltati di Silvio Berlusconi e ha rivestito diversi ruoli di governo accanto al Cavaliere.

Nonostante questi presupposti, Letta sceglie fin dall’inizio del suo impegno politico una strada moderata, ma decisa: quella del centrismo che guarda a sinistra.

La sua carriera politica inizia nella Democrazia cristiana e fin da subito assume una visione europeista: nel 1991, a 25 anni, diventa presidente dei Giovani del Partito Popolare Europeo.

Le prime battaglie

In questo ruolo Letta, prende una posizione che lo contraddistinguerà fino a giorni nostri: quella a favore dell’intervento militare (seppur in extrema ratio) e dell’alleanza atlantica. Nel 1991 chiederà infatti al governo italiano di muovere passi concreti non solo per riconoscere l’indipendenza di Slovenia e Croazia, ma anche per inviare “truppe di pace” per frenare le tensioni militari causate dalle azioni della Serbia (storicamente alleata della Russia).

Una posizione che Letta confermerà anche nel 1998 durante gli anni dell’intervento in Kosovo affermando che «l’Italia non potrebbe venire meno ai suoi impegni nei confronti della Nato neanche se l’ipotesi della dissuasione militare diventasse realtà».

Non deve quindi stupire che oggi Letta sia forse il leader che più sostiene l’invio di armi in aiuto dell’Ucraina deciso dalla Nato. Tanto da essersi “guadagnato” un manifesto di denuncia satirica, realizzato dal collettivo di sinistra Militant, in cui appare con un elmetto.

Guerre a parte, la carriera del giovane Letta procede spedita all’inizio degli anni Novanta: nel 1993 è nominato segretario generale dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione fondata e presieduta da Beniamino Andreatta, volto storico della Dc e più volte ministro.

Nel 1993, Letta sarà anche capo di gabinetto di Andreatta quando quest’ultimo assumerà la carica di ministro degli Affari esteri.

Ma nel frattempo lo scandalo Tangentopoli spazza via la vecchia Dc e per i transfughi centristi il dilemma è solo uno: con o contro Berlusconi?

Letta sceglie la seconda soluzione e nel 1995 diventa coordinatore del Comitato per l’ Italia che vogliamo, il movimento politico che fa capo a Romano Prodi che nel 1996 diventa presidente del Consiglio alla guida dell’alleanza di centrosinistra.

L’ascesa politica fino a oggi

L’ascesa di Letta prosegue e nel 1997 diventa vicesegretario del Partito popolare italiano (l’erede della Dc).

Nel suo discorso al congresso del partito Letta mette al centro due temi che sono tutto oggi fulcro della sua campagna politica: la solidarietà fra le generazioni e il traguardo dell’Europa.

Su questi due temi Letta non si risparmia.

Nel 1996 diventa segretario generale del Comitato strategico per l’Euro e l’anno seguente invita il governo italiano a «non perdere di vista il vero obbiettivo del decennio: l’entrata nell’euro».

Inoltre, nel 1998, polemizza con il leader di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti: «Se si vuole pensare al futuro dei giovani occorre alleggerirli dei fardelli che ipotecano il loro futuro, ovvero il debito pubblico e un sistema pensionistico che non può reggere i mutamenti demografici della società».

L’invito di Letta, all’epoca, era di «intervenire sul debito e riformare le pensioni oltre a rendere più flessibile il mercato del lavoro».

Una posizione quest’ultima su cui l’attuale segretario Pd sembra aver cambiato parzialmente idea, prendendo le distanze da modelli troppo liberisti in economia e dichiarando a inizio settembre che «la stagione del blairismo è finita».

Un’abitudine che invece Letta sembra non aver perso è quella di proporre la ricandidatura dei presidenti della Repubblica uscenti: se la sua posizione a favore di un Mattarella bis è nota, lo è probabilmente meno quella risalente al 1998, quando l’allora vicesegretario Ppi propose di ricandidare Oscar Luigi Scalfaro al Colle.

Una proposta che trovò apprezzamento anche a destra.

Del resto, lo stesso Letta e i suoi elettori si troveranno più volte al centro delle lusinghe berlusconiane.

Il Cavaliere prova infatti in più di un’occasione ad attirare dalla sua parte politici ed elettori moderati. «Nei nostri panni ci stiamo benissimo, in Italia e in Europa», è la replica di Letta. Anche perché nel frattempo il governo è cambiato e Letta sta per battere Andreotti come più giovane ministro di sempre.

Nel 1998 viene nominato a capo del dicastero alle Politiche Comunitarie.

È il primo incarico di rilievo che lo porterà definitivamente alla ribalta della politica nazionale.

A chi gli fa notare il suo record, Letta risponde: «Questo mi fa paura». Ancora nessuno gli aveva detto: “Stai sereno”.

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