Diritti

Quelle scatole misteriose a casa di Donald Trump

L’indagine sui fatti del 6 gennaio 2021 è ricca di colpi di scena ma scarsa sul versante delle conseguenze legali. È davvero così?
Credit: Adrien Fillon/ZUMA Press Wire
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10 agosto 2022 Aggiornato alle 06:30

Lo so, lo so che chi si occupa di politica adesso ha altro per la testa, ma lasciate che vi distragga dalle zuffe fra centro, sinistra, centrosinistra, centrocentro e sinistrasinistra per parlare degli ultimi sviluppi dell’indagine sui fatti del 6 gennaio 2021 a Washington, D.C.; per la precisione, parliamo della lentezza con cui il Dipartimento di Giustizia sta circoscrivendo la responsabilità di Donald Trump nell’assalto alla sede del Congresso degli Stati Uniti d’America.

Se ne parliamo oggi è perché ieri l’Fbi ha fatto irruzione nella residenza di Donald Trump in Florida, nota come Mar-a-Lago (vorrei dirvi che questo nome pacchiano è un’idea dell’ex presidente ma no: la tenuta si chiama così dalla sua costruzione negli anni ’20, per indicarne la vastità). Quando dico “irruzione” intendo che gli agenti non hanno bussato educatamente alla porta, no: sono proprio entrati con la forza, e ne sono usciti – pare – con diverse scatole di quelli che si sospetta siano documenti trafugati da Trump alla Casa Bianca, e che per legge dovrebbero essere collocati negli archivi di Stato.

“Pare”, “si sospetta”, capite che il problema qui è che non se ne sa ancora quasi niente. Qualche punto fermo, però, lo possiamo già mettere: tanto per cominciare, l’irruzione degli agenti federali è un metodo un po’ brusco. Se è stato scelto, gli analisti concordano, è perché con Trump non è possibile optare per una più pacata ingiunzione: Trump è uno noto per intasare i water della Casa Bianca (e non solo) con documenti strappati e buttati dentro, come un boss della mala. Incredibile: direte: eh, purtroppo ci sono le foto. Chiedergli di consegnare le scatole era un buon modo per fargliele buttare nella prima palude disponibile, e in Florida le paludi sono abbastanza facili da trovare.

Battute a parte, il punto chiave è che non si fa irruzione nella casa di un ex presidente se non si ha la certezza di trovarci qualcosa di importante, e per arrivare a quell’irruzione bisogna passare per diversi step intermedi, fra cui l’autorizzazione di un giudice indipendente, che può arrivare solo in presenza di una “probable cause”, la prova di colpevolezza. Insomma, devono essere sicuri che spalancando le porte di Mar-a-Lago e andando a frugare in giro, gli agenti non escono a mani vuote.

La delicata interazione fra il Department of Justice e i vari livelli delle corti federali e distrettuali è materia complessa, però per farla breve: Merrick Garland, Attorney General a capo del Dipartimento, non può permettersi mosse imprudenti. Deve procedere con un metodo che a molti pare solo lentezza, anche in vista delle elezioni di metà mandato, che ormai sono alle porte.

Visti da lontano, i grandi eventi della storia sembrano sempre accaduti in poco tempo: la distanza e l’assenza di dettaglio crea l’illusione dello schiacciamento. Per cui siamo tutti abituati a pensare allo scandalo Watergate come una cosa che bam! è successa, e subito Nixon si è dimesso. Invece no, fra la scoperta dell’effrazione commissionata dal presidente nella sede del partito Democratico e le dimissioni di Richard Nixon passarono ben due anni e un’elezione che portò a un secondo mandato. La parabola di Donald Trump sembra essere molto lunga e molto lenta, e in tanti si domandano quanto ci metterà Garland a incriminarlo. La risposta è: tutto il tempo che serve a essere sicuro al 100% che Trump non la faccia franca.

Il sistema giudiziario americano è molto diverso dal nostro. In questo caso, a pesare è l’assenza dei tre gradi di giudizio, che noi siamo abituati a dare per scontati. Una persona accusata di un crimine che venga assolta in prima istanza non può essere riprocessata per gli stessi capi d’imputazione. Ti processano, sei assolto, sei libero (e allo stesso modo, un processo non può essere riaperto in assenza di prove sostanziali che possano portare al rovesciamento della prima sentenza). Arrivati a questo punto, e per quanto Trump possa strepitare di essere un perseguitato politico, la commissione che sta raccogliendo le testimonianze sull’assalto del 6 gennaio 2021 ha già potuto tracciare un quadro piuttosto chiaro delle responsabilità dell’ex presidente.

Da quello che è emerso fino qui, Trump sapeva di avere perso le elezioni, ha incitato i suoi seguaci alla rivolta e ha sperato fino all’ultimo che l’assalto avesse successo, che Pence fosse impiccato sul prato della Casa Bianca, e che il trasferimento di poteri da lui a Biden fosse bloccato con la forza. Alto tradimento, insomma. Mica robetta.

Ma allora che c’entrano le scatole di documenti? È presto detto: chi viene riconosciuto colpevole di avere occultato documenti ufficiali può essere punito con il carcere e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Un colpo mortale per Trump, che sta cercando di ricandidarsi proprio per sfuggire alla galera. Insomma, sembrava una cosa quasi trascurabile, e invece potrebbe essere una svolta decisiva. Non lo sapremo subito. Forse nemmeno domani. Ma gli ingranaggi della storia continuano a girare.

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