Diritti

Se Ita licenzia un pilota troppo “stanco”

Quello degli anni d’oro di Alitalia, con le divise di Armani e i menù stellati, non era un modello sostenibile. E la compagnia di Alfredo Altavilla?
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
31 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

Pare sia stato un colpo di sonno del pilota, la causa per la quale il volo 609 di Ita Airways, partito da New York verso Roma Fiumicino il 30 aprile, non ha risposto per oltre un’ora alle chiamate radio delle torri di controllo. Un episodio di stanchezza che la compagnia ha provveduto immediatamente a sanzionare con il licenziamento.

Tutto questo avveniva più o meno nei giorni in cui Alfredo Altavilla, il presidente Ita, manifestava la propria insoddisfazione rispetto agli emolumenti che gli vengono corrisposti (ricordiamolo: 400.000 euro annui di base, a cui vanno aggiunti ulteriori 400.000 di premio legato al raggiungimento di obiettivi specifici).

Una storia infinita, quella della ex Alitalia. Un’azienda che in 20 anni è costata allo Stato italiano circa 14 miliardi di euro (e che ne costerà altri 1,35 nei prossimi 3 anni). Che, nei suoi 74 anni di vita, ha chiuso i bilanci in attivo solo tre volte (l’ultima, 20 anni fa). E che ha ottenuto il via libera alla trasformazione in Ita dalla Commissione Europea solo a patto di garantire la totale discontinuità rispetto a quanto era stato sinora (ottenendo in cambio di non dover restituire 900 milioni allo Stato italiano). Con risultati al momento incerti: nei primi tre mesi di vita, Ita ha raggiunto solo il 50% degli obiettivi di ricavi previsti nel piano industriale.

Una (curiosa) storia italiana

Tra la fine di settembre e la metà di ottobre 2021, Ita ha assunto 2.800 dipendenti. Di questi, i naviganti (ovvero piloti, hostess e steward) sono stati 1.500, quasi tutti da Alitalia. Gli addetti di terra impiegati, invece, sono circa 1.250. Un dato curioso? Sul personale di terra, il 30% è stato scelto all’esterno, soprattutto per le posizioni dirigenziali.

Un’altra curiosità: i lavoratori Alitalia che sono stati assorbiti da Ita, a un certo punto, si sono visti recapitare dal loro vecchio ufficio del personale una comunicazione che comprendeva una richiesta di pagamento dovuta al mancato preavviso nelle dimissioni. Ricapitolo, perché a questo punto si fa confusa.

Alitalia chiude, diventa Ita. Ita licenzia circa 8.000 persone, ne assume 2.800 (al momento, ne risultano peraltro effettivamente assunte solo la metà). E queste si vedono richiedere indietro alcune mensilità di stipendio per non aver tempestivamente comunicato le proprie dimissioni da Alitalia.

Di quali importi stiamo parlando? Per i piloti, a esempio, di un ammontare compreso tra i 17.000 e i 32.000 euro. Da saldare in 10 giorni. Ma non è tutto: i nuovi assunti, per la prima volta in assoluto in un’azienda pubblica, non rientrano in un contratto nazionale, ma viene loro adottato un regolamento aziendale che prevede condizioni in alcuni casi peggiori rispetto a quelle applicate alle compagnie low cost.

Riposare è necessario

Il nuovo regolamento Ita non solo è intervenuto con significative riduzioni salariali (fino al 40% rispetto ai livelli di Alitalia), ma ha anche rimodulato i tempi di lavoro e di riposo, che, per un’attività che prevede la presa in carico per ore e ore della vita di molte persone, come si comprende bene, è cruciale.

I dati: con Alitalia, i riposi previsti erano 10 ogni mese, in Ita si sono ridotti a 7. In molti casi, i riposi sono successivi rispetto al viaggio (e non precedenti, come magari ci si potrebbe aspettare per poter affrontare i ritmi di lavoro in sicurezza e serenità).

E le ferie? Se con Alitalia, erano 30 giorni, con Ita sono diventati 19. In tutta l’estate, se ne possono utilizzare al massimo 8.

Quello degli anni d’oro, con le divise di Armani e i menù stellati, non era ovviamente un modello sostenibile e questo l’abbiamo visto nelle sue drammatiche conseguenze.

Ma siamo certi di aver trovato l’equilibrio giusto?

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