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Qualcuno ci sta rubando le email

La recente ricerca “Leaky forms” ha rivelato che su 100.000 siti selezionati, circa 3.000 registrano le caselle di posta senza aver ottenuto il nostro ok
Credit: Chris yang/unsplash
Tempo di lettura 3 min lettura
31 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

La rivista Wired del 13 di maggio pubblica i risultati, per molti aspetti sorprendenti, di una recentissima ricerca denominata “Leaky forms” fatta congiuntamente della Università di Losanna, e quelle di Radbound e di Kueluven.

La ricerca effettuata dalle tre Università su 100.000 siti selezionati in base al traffico evidenzia come circa 3.000 siti registrano la email del visitatore prima che abbia dato il consenso e/o abbia inviato il form.

In alcuni casi anche le password sono state registrate prima di ottenere il consenso. Quindi, nonostante legislazioni europee (ma anche americane e cinesi) che impongono regole chiare per ottenere dati dai visitatori, la ricerca evidenzia palesi violazioni, che difficilmente sono da imputare a problemi tecnologici o disattenzione.

Il valore economico per le aziende proprietarie di siti web è enorme: gli investimenti nell’advertising online hanno raggiunto nel 2021 quasi i 500 miliardi di dollari: il digital advertising è largamente l’investimento prioritario. Pesa il 63% sul totale degli investimenti in pubblicità e in forte crescita anno su anno.

Quindi vediamo due fenomeni contrapposti: da una parte l’interesse economico crescente degli editori di siti web a raccogliere dati e email dei propri visitatori; dall’altra, legislazioni come il GDPR sempre più stringenti che vietano pratiche e tecnologie che permettono acquisizione di dati privati senza consenso esplicito dell’interessato.

Ma un’altra prospettiva ci può venire dai numeri dei siti web e dalla concentrazione dei fatturati.

Attualmente ci sono circa 1,7 miliardi di siti ma circa solo 200 milioni sono attivi (circa il 15%) . I primi dieci siti (Google, Facebook, Amazon, Alibaba, Twitter etc ) per traffico raccolgono il 75% dei 500 miliardi di dollari: una concentrazione di fatturati senza precedenti nella storia della economia moderna. Ai 200 milioni di siti attivi (meno i dieci … ) non resta che dividersi 25% rimanente.

La conclusione è contro intuitiva: sembrerebbe che la normativa sulla protezione dei dati abbia avuto un impatto sul piccolo numero di siti web che hanno molto traffico, fatturano molto, e sono soggetti a forti controlli degli utenti e delle istituzioni, nonché a potenziali sanzioni rilevanti economiche e reputazionali.

L’ universo in espansione (ogni giorno ci sono 250.000 nuovi siti) di siti web che ha poco traffico e piccoli fatturati si adegua, con fatica, alla normativa.

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