Futuro

Vizi e virtù dell’ecosistema digitale

Se nel caso di impatto ambientale e sociale è possibile identificare e bandire le azioni dannose, con il digitale la situazione è più complessa. Ecco la nuova sigla per parlarne: ESDG.
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11 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

Come noto oggi non è più sufficiente sviluppare prodotti e servizi utili e desiderabili per i clienti e remunerare il capitale investito di azionisti e debt holder; bisogna anche creare un impatto positivo all’interno del proprio sistema di riferimento ed essere un’azienda per la quale ci si sente orgogliosi di lavorare.

Da un’abilità decisionale a tre dimensioni – in quanto valuta di un’azione la fattibilità, l’utilità per il mercato e la remunerazione del capitale investitola sostenibilità richiede di sviluppare una vera e propria capacità di discernimento in grado di prendere decisioni che abbracciano ulteriori dimensioni: non solo le tre indicate prima ma anche l’equilibrio sociale, la qualità ambientale, il grado di irrobustimento di clienti e fornitori, il benessere psicologico dei dipendenti.

Decisioni, dunque, anche permeate di valori etici: non solo “corrette” ma anche “giuste”.

È dunque sempre più necessario creare le condizioni per generare quel (desiderabile) impatto positivo che l’azienda deve poter ottenere nel proprio ecosistema di riferimento (non solo esterno ma anche interno all’azienda); impatto che si declina – seguendo il modello ESG – lungo tre direttrici: Environment, Social e Governance (ESG) e quindi impatto ambientale, impatto sociale e trasparenza/integrità nella conduzione della stessa azienda, che deve diventare, o meglio rimanere, a good place to work e a cui spetta il presidio della sostenibilità più strettamente economica.

Ma queste tre direttrici non colgono tutti gli ambiti in cui può verificarsi un impatto devastante e quindi da presidiare. Sta infatti emergendo una quarta direttrice di intervento: l’universo digitale. Per molti – soprattutto per i fornitori di queste tecnologie – il digitale viene considerato una delle possibili leve per vincere le sfide sociali, ambientali e di governance delle aziende… anzi addirittura la leva più importante.

Ma a ben vedere le cose non stanno proprio così. Il digitale è molto di più di una tecnologia o un settore economico: è un vero e proprio ambiente – anzi universo – con le proprie leggi, i propri principi di funzionamento e che avvolge sempre di più e con maglie sempre più strette l’intera umanità e l’ambiente in cui viviamo. Umanità che non si limita a usare il digitale ma ci interagisce, lo abita e lo subisce.

Il gemello digitale – il digital twin – è sempre meno il genio della nostra lampada e sempre di più una divinità a cui dobbiamo sempre maggiore obbedienza.

Inoltre la sua dimensione problematica – il lato oscuro – è strutturale, quasi complementare al lato luccicante dell’innovazione. Potremmo affermare che le due polarità si definiscono e si alimentano a vicenda.

Quanto più una tecnologia è potente e crea opportunità tanto più sviluppa dimensioni potenzialmente problematiche, in quanto legate a errori di utilizzo, a comportamenti imprevisti o all’uso “non etico” fatto da coloro che The Economist – in un efficace articolo sul tema – ha chiamato “wrongdoers” e che noi diremmo malintenzionati. Klaus Schwab ha riassunto questa duplicità del digitale in modo bruciante e illuminante: «sono allo stesso tempo l’agente disgregatore e la forza motrice del progresso».

Infine decisori o utenti possono anche essere inconsapevoli dei danni generabili dal digitale – quasi in buona fede. Mentre nel caso di impatto ambientale e sociale è possibile identificare e bandire le azioni dannose, nel caso del digitale – soprattutto dopo l’avvento dell’intelligenza artificiale e la rivoluzione dei dati – la situazione è molto più complessa.

Senza una conoscenza approfondita di queste tecnologie è infatti sempre più probabile prendere – in piena buona fede – decisioni i cui esiti si possono rivelare successivamente nefasti. Infatti – come ci ricorda il filosofo Paul Goodman – «dipenda o no dalla nuova ricerca scientifica, la tecnologia è un ramo della filosofia morale, non della scienza», perché attiene agli impatti, più o meno consapevoli, delle sue azioni.

È necessario quindi incominciare a parlare di modello ESDGEnvironment, Social, Digital and Governance. E mai come per il digitale vale la raccomandazione del filosofo Hans Jonas alla base del suo principio legislativo di precauzione, sancito nella Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992: «Non si deve mai fare dell’esistenza o dell’essenza dell’uomo globalmente inteso una posta in gioco nelle scommesse dell’agire».

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