Diritti

Il capitale umano e l’ecologia delle nostre scelte

Ci sono persone che considerano se stesse come valore supremo. Altre, invece, sentono la propria comunità come strumento di crescita. Ma nel 2022 è possibile lavorare - davvero - insieme?
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
Tempo di lettura 3 min lettura
30 aprile 2022 Aggiornato alle 07:00

Tre giorni fa Paola Schionato stava andando in bici sulla statale 211 della Lomellina, in direzione di Mortara, quando è stata investita da un furgone. Ieri purtroppo ha smesso di respirare al San Matteo di Pavia. Era un’operaia, aveva 52 anni, un gatto adorato e amava recarsi in azienda con la bici.

La trama della sua morte ricorda tantissimo un film realizzato qualche anno fa da Paolo Virzì, il Capitale Umano. Girato anch’esso in Lombardia ma in paese d’invenzione - e tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon - racconta la storia di un cameriere che mentre torna a casa dopo una serata di lavoro viene travolto dal Suv di un ricco giovane della zona.

Ve lo ricordate? E alla fine del film non puoi domandarti: ma in questa storia, di chi è la colpa, davvero? Ognuno, ha fatto il suo pezzo di cosa giusta, e ciascuno ha provato a essere la versione “meno peggiore” di se stesso. Ciononostante una persona ha perso la vita.

E di chi è la colpa, davvero? Sarebbe facile dire che la colpa è di chi guidava il suv. O ancora, della società di energia elettrica che non ha illuminato a sufficienza la strada. O del comune, che non ha fatto una ciclabile per chi preferisce camminare o andare su due ruote. O del proprietario del terreno attiguo, che non ha riempito il fosso in cui è cascata la bici. O della pioggia, che ha reso scivoloso il terreno.

In realtà - il film cerca di spiegarlo, attraverso tanti punti di vista - la colpa è data da un insieme di dettagli che messi insieme hanno fatto sì che quella notte accadesse il peggio.

Le responsabilità di un incidente, in fondo, viene definita dalla magistratura. Ma una storia come questa - che non possiamo che sentire come (anche) nostra - ci induce a pensare che tutti noi dovremmo contribuire a costruire una società che sia più attenta all’equilibrio tra le piccole e grandi cose. Una società capace di ponderare le necessità di tutti: sia di chi si affaccia sia al mondo del lavoro come dipendente, sia di chi preferisce provare a cimentarsi con la professione nel ruolo di startupper. Senza capi ma senza salvagenti.

Se escludiamo chi ha fatto la Grande impresa nel secolo scorso, oggi il mondo del lavoro è puntellato da chi prova a creare universi anche solo con una partita Iva. Mi è capitato di incontrarne, di queste realtà, e di pensare quanto stiano realizzando anche online delle vere e proprie comunità.

Il contratto di lavoro non c’entra. È l’ecosistema che le persone, insieme, riescono a creare. È la loro voglia ed energia che fa la differenza: renderà migliore il posto in cui viviamo, e farà sì che sempre più i nostri percorsi diventino luoghi dove attraversare la vita, senza paura che qualcuno ci faccia troppo male. Paola Schionato viene ricordata come una persona di poche parole, ma sempre in movimento, e in aiuto al prossimo.

Nel libro Altri Orizzonti (Utet Editore, 14 eu) sei autori parlano del cammino come grande metafora filosofica della condizione umana. Tra questi Vera Gheno, che parla di “via delle parole per una società più equa”. L’auspicio, quindi, è che il movimento verso gli altri sia quindi non solo di utilità, ma strumento di reale conoscenza.

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