Diritti

Quali sono gli ostacoli che bloccano le donne sul lavoro

Maternità, carriera, servizi: se non si agisce su questi 3 fattori, l’occupazione femminile non salirà. Lo ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat, durante il Festival Visionarie: “Serve un cambio di paradigma„
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31 gennaio 2022 Aggiornato alle 12:01

«C’è una grande contraddizione che vive il nostro Paese. Da un lato una forte ricchezza di sviluppo femminile e dall’altro una parte che fa di tutto per bloccare la creatività e le competenze delle donne. L’Italia non riesce a superare gli ostacoli che ci frenano sul lavoro». A parlare è Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat, intervenuta al Festival Visionarie, una serie di incontri al femminile tra cinema, televisione e racconto che si è svolto a Roma.

Prima della pandemia solo il 50% di donne lavorava, percentuale che scende al 30% al Sud. Il Covid ha aggravato una situazione che era già sotto la media europea. Eravamo gli ultimi, ora siamo penultimi, prima della Grecia, ma tra le giovani 35-44 anni siamo alla fine della classifica. Dati sconfortanti in caso di maternità: «Nella permanenza sul lavoro, l’elemento della nascita dei figli agisce molto di più che negli altri Paesi. Il nostro tasso di abbandono è molto più alto, intorno al 20%. In generale il tasso di occupazione di chi non ha figli è più alto di quello di coloro che non li hanno». Eppure «da noi la distanza tra numero di figli desiderati e reali è molto ampia»: se la media è di 1.2 figli, sia lavoratori uomini che lavoratrici donne dichiarano che avrebbero desiderato di avere più figli di quanti ne hanno avuti. È evidente che quando ci si interroga sulle ragioni della bassa natalità in Italia è da questi dati che bisogna partire».

«Da un punto di vista delle politiche, un nodo cruciale è quello delle infrastrutture sociali, dei servizi educativi, dell’assistenza agli anziani, ai disabili» che ancora oggi si scaricano in gran parte sulle spalle delle donne. «Non c’è mai stata una strategia adeguata, solo interventi frammentati e non tali da cambiare sostanzialmente la situazione». Se è del 1971 la legge che ha istituito i nidi pubblici, a oggi è del 12% la percentuale dei bambini che ne usufruiscono. La legge 328 sull’assistenza agli anziani non è mai stata veramente applicata. L’Italia investe un quarto di quello che la Germania spende per l’assistenza sociale e questo crea a catena una disuguaglianza di genere non solo tra uomini e donne ma anche tra bambini, tra anziani e tra disabili. Per un bambino accedere al nido significa raggiungere risultati di maggior successo in futuro. Tra gli anziani o un disabile, si accentua la differenza tra chi può permettersi un aiuto domestico e chi no.

Purtroppo sono settori in cui non si è mai investito abbastanza, anzi sono molto frequenti i tagli. «È un approccio penalizzante che ci blocca e blocca le donne. Sia nel momento in cui accedono al lavoro perché cercano un impiego che si possa conciliare con il resto, sia nella permanenza e nei progressi di carriera», perché avere figli può essere penalizzante per proseguire e raggiungere ruoli apicali. Almeno finché continuiamo a vedere il mondo con gli stessi occhi e non tentiamo di scrivere un mondo più su misura delle donne: «Il problema è il cambiamento di paradigma nell’organizzazione del lavoro: si continua a impostare sempre le cose con un approccio da uomini». Per raggiungere la parità è davvero necessario che le donne sappiano fare le stesse cose degli uomini, nel modo in cui le fanno gli uomini? O si può immaginare qualcosa di più?

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