Ambiente

Le spiagge del Guatemala sono ricoperte da plastica

I lidi della costa pacifica sono lunghissimi, neri di sabbia vulcanica e… completamente soffocati dai rifiuti
Credit: EPA/Esteban Biba 
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22 aprile 2024 Aggiornato alle 10:00

Il Guatemala è un Paese bellissimo. Geograficamente, possiamo considerarlo la porta d’ingresso al Centro America più puro, con le sue forti radici indigene che nemmeno il più recente genocidio Maya ha potuto fortunatamente cancellare, i colori delle stoffe che ricoprono donne dalla statura piccola ma dalla forza capace di trasportare decine di chili di mais viola sulla testa.

Le città coloniali dai colori pastello, il cui traffico frenetico fatto di chicken bus - autobus sgargianti, pieni di luci e suoni - moto e carretti stonano profondamente con l’attitudine rilassata degli abitanti che, ancora oggi, affrontano ogni problema con un sorriso e un promettente todo se resuelve, “tutto si risolve”.

E poi i vulcani, le foreste pluviali delle province del Petèn e dell’Alta Verapaz, il Lago Atitlàn circondato da villaggi indigeni… E poi, le spiagge della costa pacifica. Lunghissime, nere di sabbia vulcanica e tutte perfettamente ricoperte di plastica.

È quanto ho scoperto, a mio discapito, nel marzo del 2023. Stavo attraversando il Paese per un reportage sulla deforestazione e avevo deciso di andare a vedere le foreste di mangrovie e la biodiversità che custodiscono. Così, a pochi giorni dalla partenza dal Dipartimento di Sololà, dove mi trovavo, decisi di chiamare un campeggio per effettuare una prenotazione. Dopo un minuto di convenevoli, la sorpresa. Il proprietario mi invita caldamente a rinunciare al viaggio perché, mi racconta, le spiagge sono talmente invase dalla plastica da non consentire l’accesso al mare.

Tra il 1950 e il 2021 sono state prodotte 2 milioni di tonnellate di plastica di cui, più della metà, è stata immessa sul mercato a partire dal 2000. A farla da padrona è l’industria del packaging, responsabile della produzione di circa il 44% della plastica prodotta: si stima che ogni anno, nel mondo, vengano prodotti ben 500 miliardi di sacchetti di plastica. Praticamente un milione al minuto. E la situazione non sembra destinata a migliorare visto che svariate ricerche dimostrano come entro il 2050 la produzione sarà quadruplicata rispetto al 2019, raggiungendo l’esorbitante cifra di 1.480 milioni di tonnellate.

Ma chi consuma più plastica? Per quanto l’attitudine occidentale sia propensa a imputare la responsabilità a Paesi lontani, più facili da additare alimentando un interessante e diffuso lavaggio di coscienza tanto individuale quanto collettivo, in Europa occidentale il consumo medio annuo di questo materiale è di circa 150 kg a persona, più del doppio della media globale che è pari a 60 kg!

Come dimostra il caso del Guatemala, questo miracoloso materiale indistruttibile, ha una permanenza praticamente eterna nell’ambiente: “non si distrugge mai, bensì si trasforma” in parti sempre più piccole, minuscole, così insignificanti in termini di dimensioni da riuscire a intrufolarsi persino nel nostro corpo, attraverso la catena alimentare, e persino nei follicoli e nella placenta umana.

Ma c’è di peggio. Oltre a inquinare il nostro corpo e l’ambiente, la produzione di plastica comporta l’emissione di circa 13.4 milioni di tonnellate di CO2, contribuendo sensibilmente ai cambiamenti climatici.

Ecco perché, al di là delle polemiche e delle accuse di essere solo un’altra occasione per aziende e persone di fare greenwashing, la Giornata della Terra è, e continuerà a essere, importante.

Nell’anno in cui più di 50 Paesi sono chiamati a firmare un trattato globale sulla plastica, impegnandosi a eliminarne l’inquinamento provocato entro il 2040, gli organizzatori della ricorrenza dedicata al nostro più importante bene comune - il Pianeta - hanno scelto infatti di chiedere a gran voce un impegno in più: quello di arrivare a una riduzione del 60% nella produzione di plastica entro lo stesso anno.

In un momento storico in cui ogni forma di diritto sembra traballare, e in cui la crisi ambientale presenta un conto da pagare su base quotidiana, una giornata dedicata alla riflessione e all’azione diventa così un’occasione per ritrovarci, come collettività e come individui, e per ricordarci che nemmeno lo struzzo, davanti a un pericolo, sarebbe così stolto da nascondere la testa sotto la sabbia.

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