Diritti

Quanto ne sai davvero sulla 194?

Il Governo apre alle associazioni “pro life” nei consultori. Ma la polemica oscura altri temi urgenti: pochi fondi, troppi obiettori. E il diritto negato alle cure
Credit: Omar Luis
Tempo di lettura 4 min lettura
18 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

Bum bum bum bum.

È un suono velocissimo, una pulsazione accelerata amplificata dall’eco ovattata dell’ecografo. È il battito del cuore di un feto, il primo contatto sonoro madre-figliə, la presa di coscienza di quello che un giorno forse sarà, o forse no, una pancia che cresce, una legame in più.

La potenza di questo suono non è solo un fatto sconvolgente e privatissimo, come dovrebbe essere: è l’asso nella manica di alcune organizzazioni “pro life” che appena 5 mesi fa proponevano di farlo ascoltare in modo coatto alle gestanti. Ed è anche il pomo della discordia dei difensori della 194, la nostra legge sul diritto di aborto, quella con più tentativi di assalto, la norma che maggiormente polarizza gli schieramenti politici e sulla quale si tenta da sempre di mettere le mani, di limitarne gli orizzonti, di modificarne i confini, senza mai veramente riuscirci.

L’ultimo tentativo è cronaca di questi giorni, finito anche sulla home page dell’inglese Guardian che ha titolato così: “L’Italia approva un provvedimento per permettere ai movimenti pro vita di insediarsi nelle cliniche abortive”.

Di fatto, si è posta la fiducia su un emendamento di Fratelli d’Italia per far applicare quanto già previsto dall’art. 2 della 194: la possibilità per i consultori di “avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. Leggi: i movimenti pro-life, pro-vita, antiabortisti. Quelli del battito.

Martedì fuori da Montecitorio c’è stato un picchetto della Rete nazionale consultori e consultorie per ribadire che il diritto all’Ivg non si tocca e che nelle strutture pubbliche non c’è spazio per deterrenza e “violenza giudicante”. Anche perché il supporto psicologico, come ribadito dall’ultima relazione del Ministero della salute, è garantito già ora nonostante i continui tagli di fondi e di personale.

E si ricava da un dato importante: il numero di colloqui Ivg nel 2021 è stato superiore al numero di certificati di autorizzazione effettivamente rilasciati (46.194 vs 31.065). Tradotto: circa 15.000 donne incinte entrate nelle strutture per un colloquio hanno poi deciso di portare avanti la loro gravidanza.

Dai dati del Ministero si ricavano anche altre informazioni utili per farsi un quadro oltre le polemiche: il ricorso all’Ivg è in progressiva diminuzione dal 1983 e il nostro Paese ha un tasso di abortività fra i più bassi tra quelli dei Paesi occidentali. Ogni 10 aborti si contano 63 nascite. La fascia d’eta che più vi ricorre è quella 25-34 anni: il 58% delle interruzioni avviene nelle prime 8 settimane.

Altri dati sono invece meno aggiornati: secondo il ministero, nel 2021 l’87% delle interruzioni è stato fatto nella provincia di residenza e il tasso di obiezione tra i medici è del 64,6%. Ma secondo l’associazione Luca Coscioni ci sono Regioni come Sicilia, Molise, Basilicata, Abruzzo dove si arriva all’80%. E l’aborto farmacologico in regime ambulatoriale è attuato solo in 3 Regioni su 20.

La 194 è quindi una legge sì intoccabile, ma la sua attuazione è ancora perfettibile e a 46 anni dalla sua entrata in vigore (era il 1978) resta comunque un punto fermo per tutte le donne. Vale ancora la pena scendere in piazza per difenderla? Certo che sì, ma a patto di conoscerla bene. A cominciare dalla sua premessa: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”.

L’aborto, dice la legge, non è un mezzo di controllo delle nascite e va evitato che sia usato come tale. I consultori hanno il compito di aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenerla, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

Non lo dicono i pro life. È l’articolo 5.

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